“Una vittoria a metà per FdI, una sconfitta a metà per il Pd, perdenti Azione e M5s, bene la Lega perché in recupero”. Il Carroccio è il partito che ha perso meno elettori nelle urne tra le politiche del 25 settembre 2022 e le regionali di domenica e lunedì scorso. Dopo viene il Pd. È l’analisi di Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma.
L’astensione è altissima, ma non tutti gli elettori si sono astenuti in egual proporzione rispetto ai partiti di riferimento. Dunque – osserva Risso – ha vinto non solo chi risulta maggioritario, ma anche chi è riuscito a portare più elettori al voto, o a convincerli di non rimanere a casa.
In Lazio il centrodestra tiene più che in Lombardia, Calenda è stato penalizzato dal trasformismo, gli elettori stanno a casa perché sono stanchi di tornare continuamente alle urne, hanno altri problemi, innanzitutto la preoccupazione di conservare una capacità di consumo che la crisi sta intaccando. Chiedono serenità, qualcosa che nessun partito può garantire.
È possibile una lettura unitaria di quello che è successo nelle urne di Lazio e Lombardia?
Direi così: una vittoria a metà per FdI, una sconfitta a metà per il Pd, perdenti Azione e M5s, bene la Lega perché in recupero. Ma bisogna guardare i dati con molta attenzione. Siamo davanti a un’astensione altissima.
Sta dicendo che le percentuali dei partiti sono ingannevoli?
Partiamo dalla Lombardia. Alle politiche FdI ha preso 1.396.000 voti. Alle regionali 725mila voti. Vuol dire che sono il 52% degli elettori di FdI alle politiche sono tornati alle urne delle regionali.
E questo rapporto non è uguale per tutti, immagino.
Esatto. È uguale per FI: alle politiche 401mila persone hanno votato il partito di Berlusconi, alle regionali sono stati 208mila; è il 52%. Non vale per la Lega. Il Carroccio ha preso 701mila voti alle politiche e 476mila alle regionali, vuol dire che è tornato a votare Lega il 68% degli elettori. Ai voti della Lega vanno però aggiunti quelli della lista di Attilio Fontana: chi l’ha votata ha scelto in ogni caso di confermare un presidente uscente leghista. La somma ci dice che la Lega ha riportato alle urne il 93% dei propri voti alle politiche.
E l’opposizione?
Il Pd passa dai 791mila voti delle politiche ai 628mila delle regionali, e tiene il 65% degli elettori. È il secondo partito insieme alla Lega per capacità di fidelizzare gli elettori. M5s alle politiche ha preso 370mila voti, alle regionali 113mila, tengono solo il 31%.
Se prendiamo Azione-Italia viva?
Alle politiche Calenda e Renzi hanno preso 513mila voti, alle regionali 122mila. Hanno tenuto appena il 24% dei loro elettori. Ora aggiungiamo anche la la Lista Moratti presidente. Sommando Lista Moratti, Azione e Iv arriviamo a 275mila voti. Il patto ottiene il 54% dei voti Azione-Iv delle politiche.
Cosa dicono invece i numeri del Lazio?
Qualcosa di diverso c’è. In Lazio FdI tiene di più: alle politiche aveva preso 851mila voti, alle regionali 519mila: tiene il 61% degli elettori. La Lega ne tiene l’80%, dai 165mila voti delle politiche ai 131mila delle regionali. FI passa da 186mila a 130mila, è il 70%. Quindi il centrodestra in Lazio complessivamente tiene un po’ di più che in Lombardia. Chi va male sono Azione-Iv, che tiene solo il 33%, e i 5 stelle con il 32%.
Dunque l’astensionismo ha funzionato in modo diverso a seconda dei partiti.
Proprio così. Per questo possiamo dire che FdI ha vinto perché resta il primo partito in entrambe le Regioni, ma è una vittoria a metà perché ha perso più della Lega, che ha tenuto di più i suoi elettori e quindi l’astensionismo l’ha colpita di meno. Più o meno la stessa cosa succede con il Pd, che anche in Lazio fidelizza tra il 63 e il 65%. Mentre i 5 Stelle tengono pochissimo gli elettori di settembre, il 33% in Lazio e il 31% in Lombardia.
Ma qual è il motivo di questa astensione così massiccia? Basta il trend storico a spiegarla?
Ai tassi di astensione in crescita aggiungerei il fatto che l’elettorato è stanco di essere chiamato alle urne in modo quasi costante: a settembre le politiche, a febbraio Lombardia e Lazio, seguiranno Friuli-Venezia Giulia e Molise, ma anche la provincia di Trento. A questa frammentazione si aggiunge la campagna elettorale locale, meno coinvolgente di quella nazionale.
In un suo recente articolo lei ha osservato che al raziocinio imposto dalla crisi (far quadrare i conti) si aggiunge nel 25% degli italiani (si arriva al 29% dei millennials e della generazione X) un crescente bisogno di leggerezza e distensione. Sanremo più avere influito sull’astensionismo?
No, ritengo che si dipeso soprattutto dalla stanchezza politica. Un Paese non può vivere in campagna elettorale permanente, e per molti tornare alle urne dopo sei mesi può essere una seccatura.
Come fa a dirlo?
Gli insoddisfatti del funzionamento della democrazia in Italia sono il 70%, gli insoddisfatti di come funzionano le elezioni in Italia sono il 76%. Se a questo si aggiunge la sensazione, fondata o meno non importa, che votare non cambi molto le cose, si sta a casa.
Anche se si vota per l’amministrazione che decide in tema di sanità, a neppure un anno dal Covid?
Ma l’elettore medio non fa questo ragionamento. Pensa alle sue esigenze di oggi: far fronte al caro bollette, al caro prezzi, all’impennata del mutuo, come conservare un po’ della vecchia capacità di consumo. Chiede serenità. Serenità è il bisogno di respirare, dopo due anni di Covid e un anno di guerra. Ma è una tranquillità che nessuna delle forze politiche può permettersi di garantire, in questa fase.
Dopo quelle che ha detto, qual è l’ansia maggiore?
Avere certezza sul lavoro. Riguarda il 42-43% degli italiani. Siamo in vetta alla classifica europea.
Ultima considerazione. Come mai il terzo polo è andato così male?
Calenda a Roma alle politiche ha preso 151mila voti, alle regionali 56mila, ha tenuto solo il 37% del suo elettorato. È vero che i 5 Stelle non sono andati meglio. Le scelte trasformiste non pagano.
Dove sta il trasformismo?
Negli schemi variabili. Calenda alleato con il Pd in Lazio ma da solo in Lombardia, M5s alleati con il Pd in Lombardia e da soli in Lazio. Restare a casa è stato anche un modo di punire i partiti che in questo momento sembrano non avere una strategia politica ferma e netta. Draghi non c’è più, c’è un governo politico e chi non la pensa come chi governa vorrebbe vedere uno schieramento alternativo in grado di competere, non l’ordine sparso.
(Federico Ferraù)
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