Due settimane fa le prime scosse, tremende, che hanno messo in ginocchio intere zone tra la Turchia e la Siria. Ora, dopo quelle di assestamento, altre scosse, violentissime, che hanno provocato altri crolli e morti.
E spingono le persone ad andarsene dalle zone dove il sisma è stato così acuto per cercare rifugio nelle città o dove la situazione è meno drammatica. Un vero e proprio esodo che continuerà: la gente, per allontanarsi dalla paura e dal panico, lascia le aree dove aveva le case e se ne va. Una vicenda che Caritas sta osservando da vicino, come racconta Laura Stopponi, responsabile dell’ufficio Europa di Caritas italiana che in questo momento si occupa degli aiuti in Turchia.
Quali sono state le ripercussioni delle ultime violente scosse di terremoto?
La situazione è difficile, c’è un grosso problema di alloggi. La gente aveva paura di tornare nelle case e se prima avevano paura adesso ne hanno ancora di più. Man mano si sta spostando in altre zone della Turchia dove la protezione civile ha creato campi di accoglienza o in altre zone dove ci sono parenti, altre città. Hanno trovato altre sistemazioni proprio perché le persone non vogliono tornare nelle case. Ci sono più di 50mila edifici tra crollati e inagibili o pronti al crollo. Le distruzioni nella zona di Antiochia e Iskenderun, dove noi operiamo, sono enormi. Poi fa freddo, non c’è l’acqua, la luce va e viene. Proprio ieri quando c’è stata l’altra scossa la delegazione Caritas era in aeroporto di Antiochia, la paura è stata tanta. La scossa era pari a quella di Amatrice, non era soltanto una scossa di assestamento, sono crollati altri edifici.
Quest’ultima forte scossa, insomma, rischia di accelerare quel fenomeno di esodo dai territori più colpiti per andare in zone più tranquille come le grandi città o in strutture realizzate per accogliere gli sfollati?
Al momento la gente può avere la speranza di ricominciare solo andando via da lì. Poi le cose possono cambiare velocemente. Ci sono grandi piani di ricostruzione ma adesso ci sono quantità enormi di macerie, poca accoglienza e poca disponibilità, anche perché sono interrotte le vie di comunicazione: gli sfollati sono tantissimi. La protezione civile turca sta lavorando, noi stiamo lavorando in collaborazione con loro, ma il lavoro è enorme.
Voi in che zone state operando come Caritas?
La rete Caritas sta seguendo la parte di Antiochia e Iskenderun perché lì c’è la sede della Caritas diocesana, del vicariato, avevamo già un lavoro con le autorità locali in corso e abbiamo semplicemente ampliato e ripreso tutta una serie di attività che già facevamo. Soprattutto si lavorava precedentemente con i rifugiati che stavano lì nella zona.
Quindi lì c’erano già dei rifugiati che si erano spostati dalla Siria?
È una zona con grande presenza di rifugiati siriani, tanto è vero che si dice che il terremoto ha colpito due volte perché erano già persone precarie, che avevano alloggi di fortuna, non avevano il lavoro e adesso si trovano spinti in altre direzioni perché sono rimasti praticamente senza nulla.
Vengono ospitati al vicariato o c’è qualche altra struttura?
In parte, un po’ la protezione civile ha attivato alcune tende, poi si sono mobilitate alcune parrocchie e altre realtà, dove c’è una struttura che regge. La Caritas ha avuto anche a disposizione delle tende proprio dalla Protezione civile. L’accoglienza adesso è diffusa in varie zone. I numeri di persone bisognose sono alti, e infatti cominciano a defluire. L’altro lavoro che stiamo facendo attraverso la diocesi di Smirne e di Istanbul è quello di permettere alle persone di essere accolte nelle strutture della Chiesa che sono disponibili altrove. Le persone si spostano già da sole: noi apriamo loro le porte.
Per quanto riguarda il cibo, i farmaci, gli aiuti in generale la situazione com’è? Si riesce a portarli sul posto?
Le città vicine hanno tutto a disposizione. La Turchia è molto grande, nelle zone intorno a Smirne e Istanbul c’è disponibilità. Il problema è fare arrivare il materiale perché le vie di comunicazione sono interrotte. Per questo si invita a non portarli da fuori, a parte quello che ha trasportato la Protezione civile. È anche difficile dal punto di vista burocratico. Molte persone si sono offerte di fare raccolte in Italia e poi inviare tutto lì. Noi lo sconsigliamo, perché in realtà è molto più costoso che comprarle sul posto. La disponibilità c’è, non ad Antiochia ma nelle città vicine. Quello che stiamo cercando di fare è di acquistare lì.
Se si vuole aiutare meglio mandare fondi?
In questo momento questa è la richiesta della Caritas locale.
In Siria le cose come stanno?
Abbiamo Caritas Siria che sta lavorando, lo faceva già da prima, soprattutto ad Aleppo, in zone con grossi campi di accoglienza. Ha aumentato la distribuzione di generi di prima necessità, ha garantito l’accoglienza per tutti coloro che stanno nelle zone governative. Difficile, invece, l’operatività nella zona di Idlib che è una zona in cui imperversa la guerra e quindi difficilmente raggiungibile.
(Paolo Rossetti)
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