Continua a esserci incertezza su quelle che saranno le mosse della Bce dopo la riunione del Consiglio direttivo di marzo, a valle della quale si dà per scontato un aumento dei tassi di mezzo punto percentuale. Dagli swaps arrivano segnali di una stretta che potrebbe essere molto brusca tra il secondo e il terzo trimestre dell’anno, un po’ sulla scia dell’esigenza fatta emergere da Isabel Schnabel.
Ma non manca chi, come aveva già fatto Fabio Panetta, suggerisce maggiore prudenza: il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, infatti, ha chiesto all’Eurotower di non creare le condizioni per una recessione. Abbiamo fatto il punto con Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Professore, la strategia della Bce non sembra essere proprio quella di rallentare l’economia per frenare l’inflazione?
Sì, è una ricetta datata, mentre noi siamo di fronte a una situazione inedita, come inedita è stata l’esplosione dei prezzi delle materie prime che è poi arrivata nel carrello della spesa. È, tuttavia, legittima la preoccupazione sui livelli raggiunti dall’inflazione. Oggi il vero pericolo è che se, come ho spiegato in una precedente intervista, si innescano aspettative inflazionistiche, diventa ardua la discesa verso il target del 2%, anche se intanto i prezzi delle materie prime scendono come hanno iniziato a fare.
C’è il rischio che, vista questa inflazione persistente o lenta a scendere, la ricetta della Bce provochi una recessione senza far calare sensibilmente l’indice dei prezzi?
Recessione è una parola grossa. Si potrebbe arrivare a un rallentamento significativo dell’economia senza incidere in maniera significativa e rapida su una dinamica inflattiva che si sta ormai manifestando in diversi aspetti della vita quotidiana. C’è oltretutto da chiedersi quanta restrizione sarebbe necessaria per ridurre non i prezzi in quanto tali, ma solo il loro aumento, e se tale restrizione non rischierebbe di indebolire i redditi delle famiglie che dipendono dai livelli occupazionali, a loro volta legati all’andamento dell’economia.
Diventa, quindi, importante guardare anche al mercato del lavoro…
Come insegna la curva di Phillips, all’aumentare della stretta monetaria, per far calare l’inflazione, cresce la disoccupazione. E come sappiamo, se c’è meno occupazione, ci sono meno redditi. Guardando ai dati Eurostat sulla disoccupazione, che sono relativi a dicembre, mi sembra che si possa dire che continuando con questa politica la Bce rischi di ampliare delle differenze esistenti tra i Paesi europei.
Quali differenze?
Quelle relative al tasso di disoccupazione. In Spagna e è al 13,1%, in Grecia all’11,6%, in Italia al 7,8%, in Francia al 7,1%, mentre in Germania e in Polonia al 2,9%, in Repubblica Ceca al 2,3%, in Olanda al 3,5%, in Danimarca al 4,8%. Se nella manovra della Bce qualcosa non dovesse andare per il verso giusto, c’è il rischio di creare di fatto un’Europa a due velocità.
Se qualcosa andasse storto, basterebbe fare retromarcia e la situazione tornerebbe come prima oppure la divaricazione tra i Paesi proseguirebbe?
Temo che una volta rotto il vaso rimetterlo insieme sarebbe molto difficile. Un dato certo è che dal punto di vista occupazionale, e quindi reddituale, i Paesi europei sono molto eterogenei ed è legittimo attendersi che abbiano delle dinamiche diverse. È chiaro che per quelli dove la disoccupazione è bassa sarebbe meglio una stretta monetaria per evitare che si inneschi la spirale prezzi-salari, ma per quelli dove la disoccupazione è più alta è più elevato il rischio di una crisi. Ci vuole, quindi, grande cautela, come ha suggerito Panetta.
Forse la scelta della Bce è resa ancora più complicata dalla mancanza di una politica fiscale europea.
Sì. Se ci fosse una genuina mutualità, una solidarietà interna, ciò aiuterebbe non poco, ma grandi segnali in questa direzione non se ne vedono. Mi auguro che si presti molta attenzione alla tenuta del potere d’acquisto, cercando, quindi, di frenare l’inflazione, ma non in modo così cieco come si rischia di fare oggi.
(Lorenzo Torrisi)
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