Lo scontro frontale tra Putin a Mosca e Biden a Varsavia, seppur a distanza, ha segnato il punto retorico più alto della guerra in corso, che oggi compie esattamente un anno. Due scenografie, due storie a confronto, insiemi di artifici usati a supportare le proprie ragioni. Molti hanno sottolineato l’inconciliabilità, l’assoluta diversità di opinioni, punti di vista, orizzonti e schemi logici. Ma non si è spiegato il perché, dove possano risiedere le fonti delle divergenze.
Due concezioni apparentemente opposte per logica oltre che per contenuti si affrontano e scontrano. Da una parte vi è la concezione russa dell’ordine internazionale, sostanziale, diritto composto di norme, di regole, comportamenti. Ma fatto più importante è che nel discorso di Putin il diritto non può prescindere dalla storia-sicurezza-potenza-identità, tutti gli elementi si fondono in modo esplicito senza nessun filtro, mentre nelle parole di Biden l’elemento centrale si ritrova immediatamente nel diritto internazionale e nella sua colonna portante, l’inviolabilità dei confini. E poi libertà, democrazia e alleanza militare a difesa.
Putin, a sostegno dell’aggressione all’Ucraina, tiene assieme, nei suoi numerosi interventi, argomenti nazionali e di sicurezza. L’Ucraina è un’invenzione dell’Urss, prima di Lenin poi di Stalin, le terre a ovest e la Crimea sono sempre state russe; Kiev sta facendo una guerra civile contro la minoranza russa in quelle terre; la classe dirigente ucraina è corrotta e nazista e non vuole il bene del Paese, che infatti era già prima della guerra un mezzo Stato fallito; Washington e la Nato stanno riarmando l’Ucraina per farne un bastione contro la Russia minacciandola anche con armi nucleari; Washington sta tradendo gli impegni presi ai tempi della caduta del Muro (in un’intervista al Daily Telegraph, 7 maggio 2008, Gorbaciov disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la Nato “non si muoverà di un centimetro più ad est” dell’Oder). L’accusa forte agli Stati Uniti è di perseguire la volontà di difendere un mondo e una concezione dell’ordine e della sicurezza internazionali unipolari, con al centro Washington e Wall Street, attorno l’anglosfera e poi tutti gli altri. Con l’Occidente che sostiene militarmente l’Ucraina, che ha dichiarato una guerra economica diretta alla Russia, non sono possibili accordi, per questo Mosca sospende la sua partecipazione al Trattato Start. Infine, l’accusa all’Occidente di attaccare i valori tradizionali della Russia portando avanti la crociata modernista e secolare contro la famiglia, la religione, il matrimonio, la Chiesa ortodossa.
Dall’altra vi è il discorso del presidente americano, un inno al lascito della Seconda guerra mondiale, minacciato dalla Russia con l’attacco “omicida” all’Ucraina. Un ordine internazionale fatto di pace, prosperità, stabilità, democrazia, libertà; un ordine internazionale imperniato sul principio di sovranità delle nazioni. Putin con la sua mossa ha attaccato non solo l’Ucraina, ma questo castello che regnava in Europa da 75 anni. Ma gli Stati Uniti e la Nato hanno dimostrato di saper difendere questo mondo, e infatti adesso l’Alleanza è più forte di prima, con la richiesta di Svezia e Finlandia di entrare a farne parte. Putin voleva (bell’escamotage retorico) “la finlandizzazione della Nato” e invece ha ottenuto la “Nato-izzazione di Finlandia e Svezia”. Alleanza forte come una roccia grazie all’articolo 5, una sicurezza su cui tutti i suoi membri possono contare.
Ma la guerra all’Ucraina – continua Biden – comporta anche la rottura dei rapporti economici e commerciali con Mosca, come dimostra la ricerca di indipendenza dalle fonti energetiche da parte dei Paesi europei. Sanzioni, aggiungiamo, che rafforzano la politica di friend-shoring, di riportare la produzione di beni e di garantire le linee di approvvigionamento energetico tra Paesi amici. Politica già annunciata dal segretario al Tesoro americano Janet Yellen il 13 aprile 2022.
In questa lotta contro l’aggressore russo, l’Ucraina non è sola, perché ha l’appoggio della maggioranza dell’assemblea delle Nazioni Unite, dove ben 143 Paesi hanno condannato l’invasione. Consenso internazionale indiscutibile dimostrato anche dalla coalizione di 50 Stati che Washington è riuscita a costruire per aiutare e sostenere l’Ucraina nella sua lotta contro l’invasore; lotta per la libertà e per la democrazia iniziata con le manifestazioni di Maidan (2014) – non a caso viste da Mosca come operazioni occidentali.
Due logiche diverse? Certo, ma alla fine la realtà rimane una sola. L’ordine internazionale, come ha insegnato Carl Schmitt, si regge non solo su trattati internazionali, ma su principi, norme, valori, procedure condivise dalle parti che regolano le azioni degli Stati sia in tempo di pace che di guerra. Il diritto non può vigere sospeso nell’aria, ha bisogno di essere fondato nella storia. Se manca la condivisone tra gli Stati, tutto crolla. A poco serve l’aver ragione, arriva la guerra a distribuire torti e ragioni.
Un nuovo ordine mondiale ha bisogno di una norma fondamentale che lo sostenga, la crisi arriva perché il vecchio ordine è morto e il nuovo non è ancora nato, e il mondo adesso sta attraversando uno di quei momenti drammatici.
L’ordine internazionale post-Guerra fredda, il mondo unipolare sognato dai neoconservatori americani, è finito; quello che sembra avanzare è un confronto durissimo tra le potenze maggiori, speriamo controllato, per definire nuove norme per governare il mondo (sfere di influenza comprese), la sicurezza per intere regioni, i trattati di non proliferazione nucleare, le regole di governance economica, i modi di gestione delle grandi crisi, da quella sanitaria a quella ecologica.
Se questa è la sfida, gli scenari che ci aspettano sono molteplici: un accordo razionale, una sorta di nuova Guerra fredda, oppure un caos più o meno forte.
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