Lo scorso weekend ho partecipato come spettatore all’edizione 2023 del New York Encounter, un evento culturale pubblico annuale di tre giorni che si tiene nel cuore della Grande Mela. Il titolo scelto era “Who Am I that You Care for Me? (Chi sono io perché Tu ti prenda cura di me?)”.
In un mondo dove siamo ormai quotidianamente bombardati da racconti di morte e distruzione, storie di solitudine e nichilismo, che si alternano al gossip più becero e a finte trasgressioni che hanno come solo obbiettivo quello di far salire l’audience, sono rimasto anche questa volta sorpreso di come questo evento sia ricco di esempi, storie, testimonianze positive.
Il NYE è nato e continua a crescere grazie al desiderio di alcuni appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione, di imparare, riflettere, confrontarsi, conoscere nuove persone.
Tutto è nato dopo che per anni, alla fine del raduno dei responsabili del movimento nei luoghi più diversi del Nord America, veniva proposto un incontro pubblico con personalità varie su temi d’attualità riguardanti l’educazione, il razzismo, la violenza, la pace, la povertà, le scoperte scientifiche, l’economia.
Quando nel 2000 si decise di tenere quell’incontro a New York, fu evidente ad alcuni che quel momento poteva diventare un’occasione di incontro più grande e allargato in cui ascoltare, dialogare, provare a dare a se stessi e alla società un messaggio di speranza che nasceva dall’aver percepito un destino buono in grado di condurre la vita.
Durante questo weekend, l’arcivescovo di New York, il Cardinale Timothy Dolan, ha colto proprio questa esigenza, dicendo che il nostro io nasce dall’essere donati all’esistenza da Dio attraverso i propri genitori, ma anche dagli amici, da tutti coloro che si muovono nei confronti dei nostri bisogni.
In questo senso, l’Arcivescovo di Boston, il Cardinale Seán Patrick O’Malley, durante la messa di domenica, commentando il vangelo, ha approfondito il passaggio, dicendo che essendo noi creature “donate” a noi stessi, si può vivere la carità e sentire gli uomini come fratelli.
Al NYE tanti fatti hanno testimoniato che queste cose sono reali e incontrabili. L’esempio di famiglie che in una America sempre più violenta prendono in affido e in adozione bambini che non vuole nessuno; la toccante testimonianza di rifiuto dello stesso odio quando si è oggetto di odio che ha fatto padre Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme. O quelle di Diane Foley madre di un giornalista ucciso dall’Isis, di Anastasia Zolotova, direttrice di Emmaus, associazione che da anni accoglie a Kharkiv in Ucraina bambini orfani e che oggi aiuta i rifugiati ucraini in Europa.
Positività e fiducia, anche dentro un mare di difficoltà e dolore, aprono a uno sguardo curioso e pieno di voglia di conoscere: è stata la testimonianza dell’astrofisico Massimo Roberto. Per il compositore Jonathan Fields sono state la spinta a comporre le bellissime musiche di accompagnamento per una rappresentazione teatrale dedicata ad Etty Hillesum.
Ma oltre a queste cose, per me lo spettacolo più bello è stato vedere tante persone così diverse accomunate da qualcosa di uguale per tutti: ognuno con la propria storia, i propri dolori e le proprie speranze. C’era gente che esprimeva le tante facce diverse di quel paese così unico al mondo: chi veniva dalla Costa Ovest; chi dalle grandi pianure del Midwest. C’erano conservatori e liberali, cattolici e non, nativi, afroamericani e bianchi, vecchi e giovani.
Al NYE ho potuto intravvedere uno scampolo di popolo, una umanità comune ma allo stesso tempo diversa. Negli occhi, nei volti, nei sorrisi ho visto prendere sul serio la domanda che li aveva mossi a venire: chi sono io perché Tu ti prenda cura di me?
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