Lavorare tutti, lavorare meno? Una settimana lavorativa di 35 ore è già adottata in Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera. In Italia, però, la settimana lavorativa su 4 giorni anziché 5 torna a essere una possibilità, posto che proprio in questi giorni, dopo una relativa sperimentazione in Spagna, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Giappone, alcune grosse aziende hanno adottato questa tipologia flessibilizzando soprattutto l’orario di lavoro.
Dalla fine degli anni ’60, è arrivata in Italia la contrattazione collettiva che ha ridotto la durata della settimana lavorativa su cinque giorni (almeno nell’industria e in molti servizi). Alcuni contratti aziendali, però, si stanno spingendo più avanti, prevedendo di articolare la prestazione lavorativa su soli quattro giorni: si tratta di una prassi ancora limitata, ma che si rispecchia nella tendenza, a lasciare più tempo per sé, nel rispetto della conciliazione lavoro/famiglia. Peraltro il cosiddetto smart working ha mostrato come la sincronicità e la compresenza siano elementi spesso secondari, almeno in tutti quei casi in cui la prestazione professionale si estrinsechi in un’attività di valutazione, o di condivisione, e come in piena pandemia ha risolto parecchi problemi, sia alle lavoratrici che ai lavoratori e alle aziende, che hanno risparmiato indubbiamente sui costi di riscaldamento, mensa, trasporti.
Interessante la prassi lanciata dal Gruppo Intesa Sanpaolo, far lavorare un’ora in più ogni giorno una parte del proprio personale, in modo da “liberare” un giorno ma conservando lo stesso stipendio per cui l’orario di lavoro resta dunque lo stesso, ma è compresso su 4 giorni. Consolida l’idea di alcuni datori di lavoro per cui guardano molto di più a quanto un lavoratore rende, alla sua performance, ai risultati raggiunti e danno meno importanza alle ore di lavoro effettivamente svolte.
In altre parole, un passo avanti a favore della meritocrazia? Ma non è sempre vero che lavorare di più equivale a essere più produttivi. Più studi negano questo luogo comune: pensiamo ad esempio a quello promosso dall’Ocse, che ha riscontrato come, oltre un certo limite, lavorare molte ore comporti una drastica riduzione della produttività. Una sorta di stanchezza fisiologica, che si ripercuote sul profitto aziendale. Ma sicuramente vero è che il minor inquinamento con dipendenti che, con una settimana lavorativa corta, potrebbero spostarsi un giorno in meno e con consumi degli edifici praticamente annullati per un ulteriore giorno alla settimana, in tempi di costi boom delle bollette energetiche è sicuramente una buona notizia.
Un’altra considerazione oggettiva e obiettiva è che nei servizi sociali e sanitari, servizi essenziali dunque, dove bisogna assicurare la presenza, potrebbe dare una mano a irrobustire ovviamente i turni lavorativi a turno, per realizzare le famose case della salute previste dal Pnrr che pare ora possa avere un margine di proroga per potenziare gli organici medici, paramedici, assistenziali. Così come nei servizi della ristorazione, nell’alberghiero e nei supermercati adottare la settimana lavorativa corta non sarà possibile se non prevedendo appunto turni con una problematica di maggior difficoltà a conciliare orari del team di lavoro con il singolo dipendente, senza negare l’ipotesi che vi potrebbero essere comunque lavoratori desiderosi di lavorare di più per aver un maggior stipendio – pur con minor tempo libero.
È comunque una svolta culturale che coinvolge le organizzazioni sindacali e le aziende: per modificare l’organizzazione sul luogo di lavoro e la contrattazione di prossimità, e soprattutto per non rimanere fanalino di coda in ambito internazionale, serve un confronto tra le parti sociali. Bisogna avviare in alcune realtà percorsi sperimentali, lavorando per gradi. Si potrebbe cominciare in pochi stabilimenti per capire la portata dell’intervento e le esigenze dei lavoratori, elaborando una formula su misura che tenga conto anche dei picchi di produzione delle imprese. È tempo di regolare il lavoro soprattutto nel settore manifatturiero in modo più sostenibile, libero e produttivo.
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