Di segnalazioni per scorrettezze commerciali l’Italia ne è davvero piena e così il decreto legislativo che modifica il codice del consumo ha deciso di inserire alcune linee di intervento a maggior tutela del consumatore: stavolta le scorrettezze commerciali saranno duramente punite con una sanzione fissata ad un massimo di 10 milioni di euro.
Riforma codice del consumo: sanzioni fino a 10 milioni
Tutte le scorrettezze commerciali e le clausole vessatorie potrebbero ricevere una sanzione da 5 a 10 milioni di euro e al consumatore è concesso un tempo fino a 30 giorni per liberarsi dal contratto. Si tratta di due linee guida importantissime adottate dal Consiglio dei Ministri il 23 febbraio scorso che recepisce la direttiva europea 2019/2161 e le conseguenti modifiche al codice del consumo, vale a dire il decreto legislativo numero 206/2005.
Adesso tutte le imprese dovranno adeguarsi alla prassi contrattuale anche per evitare di incorrere in pesanti punizioni.
Ecco quali sono le novità: per l’ipotesi di pratiche commerciali scorrette, l’Agcom, vale a dire l’autorità garante della concorrenza del mercato applicherà una sanzione raddoppiata vale a dire da 5000 a 10 milioni di euro. In pratica se il massimo, in precedenza, era di cinque milioni di euro, stavolta il decreto ha raddoppiato la sanzione. Questa viene applicata anche in caso di inottemperanza ai provvedimenti dell’autorità garante della concorrenza del mercato che sono stati adottati d’urgenza, quindi la sospensione provvisoria di pratiche scorrette, oppure i divieti di diffusione e continuazione di pratiche scorrette. La sanzione si applica anche nel caso in cui le aziende non dovessero impegnarsi ad eliminare le scorrettezze.
Riforma codice del consumo: diritto di recesso entro 30 giorni
Quindi il decreto legislativo ha calcolato una sanzione sul fatturato del 4% per i casi di infrazione diffusa, vale a dire quando i danni si estendono ad almeno due stati dell’Unione Europea, oppure quando la diffusione ha una dimensione un unionale quindi a danno di almeno due terzi dell’Europa.
Dal momento che il consumatore viene inteso come la parte debole del contratto, il codice del consumo concede la facoltà di liberarsi secondo la sua volontà, ma deve farlo entro un termine breve, esercitando quindi il cosiddetto diritto di recesso che, tutt’oggi, viene considerato di 14 giorni. Però il decreto ha prolungato il diritto di recesso fino a 30 giorni nei contratti conclusi nel contesto di visite non richieste presso l’abitazione del consumatore oppure di escursione organizzate per vendere prodotti.