“Il Mediterraneo è la rotta principale d’ingresso per la migrazione non registrata o comunque non autorizzata verso l’Italia. Il fenomeno ha variazioni che dipendono dallo scenario internazionale, climatico e dai conflitti.
La seconda rotta rilevante per il nostro Paese è quella in alcuni momenti attivata nell’area dei Balcani occidentali. Porta dalla Turchia alla Bulgaria fino all’ingresso in Italia dal confine Nordest. Gran parte di quel flusso oggi punta al Centro-Nord Europa”.
Chi spiega è Alberto Aziani, del Centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si è occupato anche delle organizzazioni criminali che presiedono al traffico di migranti. Un fenomeno difficile da leggere, anche perché, i tragici fatti di Crotone lo dimostrano, ci sono anche altre rotte che prendono piede, attivate dai trafficanti per eludere le azioni di contrasto degli Stati.
Le rotte di approdo all’Europa sono diverse. Proprio in questi giorni è diventata di tragica attualità la rotta turca via mare.
Nel marzo 2016, a fronte del massiccio numero di siriani e afgani in fuga dalle guerre civili e di migranti da Pakistan, Sri Lanka e altri Paesi asiatici che attraversavano la Turchia, i leader di Ue e Turchia hanno convenuto di contrastare la migrazione irregolare lungo la rotta del Mediterraneo Orientale (flussi da Turchia a Grecia, Cipro e Bulgaria). L’accordo ha ridotto i flussi attraverso i Balcani (ingresso in Bulgaria), ma ha causato un aumento degli smugglers (trafficanti) attivi e una loro maggiore “professionalizzazione”: maggiori controlli richiedono maggiore organizzazione per eluderli. Ma ha causato anche maggiori rischi per i migranti che hanno iniziato a muoversi su rotte meno sicure, con facilitatori di minor fiducia. Sono aumentati così i flussi di siriani e afgani lungo le rotte del Mediterraneo Centrale (Libia, Egitto) e Occidentale (Marocco) e i rifugiati in Turchia. Negli ultimi mesi si ipotizza che, in particolare a partire dal 2020, l’inasprirsi delle politiche di respingimento in Grecia e in altri Paesi balcanici abbia facilitato l’emergere della rotta marina diretta Turchia-Calabria.
Ma chi sceglie queste rotte?
La rotta del Mediterraneo è prevalente per tutti i flussi dall’Africa di egiziani e tunisini, ma anche per le persone dell’Africa subsahariana che si spostano verso il Nord e poi si imbarcano verso l’Europa. La rotta balcanica è più utilizzata da persone che si spostano dal Centro Asia, dal Medio Oriente e anche dall’Asia meridionale.
Ci sono punti di approdo comuni per i migranti che partono dai diversi Paesi dell’Africa?
Sì, l’intensificarsi dei controlli, soprattutto in Egitto, primo Paese a introdurre una legge contro questo fenomeno, ha fatto sì che il grosso dei flussi migratori si spostasse in Libia, dove i controlli sono molto più scarsi. Anzi, c’è una connivenza con le istituzioni o comunque con i gruppi di potere in alcune zone.
La Libia è l’unico punto di partenza o ce ne sono anche altri?
Non è l’unico, tuttora ci sono partenze dall’Egitto e dalla Tunisia. Anche più a Ovest, quindi in Marocco, ma non verso l’Italia. La Libia è diventata nel tempo sempre più rilevante.
Quali sono invece le organizzazioni criminali che gestiscono questo traffico?
Il grosso dello smuggling, dell’attività organizzata, è gestito da piccolissimi gruppi o anche singoli. L’unico punto dove c’è il coinvolgimento di organizzazioni un po’ più strutturate è quello dell’attraversamento del mare. Nel deserto anche un individuo con un furgoncino può aiutare, ma nel momento in cui c’è da organizzare l’attraversamento del mare servono risorse organizzative e finanziarie un po’ più strutturate e in quel caso ci sono dei gruppi. Lavorano in connessione: la maggior parte di queste organizzazioni è attiva in spazi geografici relativamente piccoli e visto che i migranti, invece, percorrono lunghissime tratte, entrano in contatto prima con un gruppo e poi con un altro, secondo il passaggio geografico.
Non c’è, quindi, un’internazionale del traffico di migranti?
Fondamentalmente no. A livello globale sono stati osservati casi di organizzazioni che sono in grado di gestire spostamenti anche a livello transnazionale, ma per la maggior parte dei gruppi non è così. Sono strutture molto poco definite, poco gerarchiche.
Qual è la specificità della Libia, da dove parte la rotta principale verso l’Italia?
Qui ci sono gruppi criminali che agiscono in un territorio in cui le istituzioni sono estremamente deboli. Controllano il territorio, talvolta sono le famose milizie che dovrebbero avere formalmente compiti di controllo.
Come si spiega che gli stessi miliziani che gestiscono il traffico talvolta sono diventati interlocutori al tavolo delle trattative per controllare le partenze di migranti?
La Libia è controllata da strutture di potere che da un lato hanno anche legittimazioni internazionali, e dall’altro partecipano ad attività illegali. Le organizzazioni che hanno questo tipo di legittimazione hanno accesso a un potere anche militare. Ci sono anche diverse prove aneddottiche di coinvolgimento non strutturale ma episodico perfino dell’esercito e della guardia costiera libica in questo tipo di attività, episodi di corruzione o semplicemente casi in cui si lasciano partire le barche.
La loro forza è di essere dei gruppi criminali che controllano il territorio?
Hanno la capacità di controllare i porti, le aree da cui ci si imbarcano e nelle quali si incontrano i migranti. Questo consente maggiore flessibilità nel far partire le barche.
È il loro core business o fanno anche altro?
Nella maggior parte dei casi non è il core business, sono attività accanto ad altri traffici illeciti, forme di racket sul territorio ed eventualmente anche attività legittime o legittimate.
Racket in che senso? Relativo alle attività del territorio di cui hanno il controllo?
È sempre improprio fare parallelismi con le mafie italiane, perché sono un fenomeno molto distinto, però possiamo intendere forme di estorsione esercitate rispetto alle attività del luogo.
Controllando il territorio hanno anche una legittimazione politica, diventano degli interlocutori che non possono essere ignorati?
Poiché le istituzioni libiche non controllano il territorio, devono gestirlo mediante questo tipo di attori. Sostanzialmente gestiscono delle piccole enclaves.
Ci sono operazioni, indagini che sono state condotte su queste organizzazioni criminali? E contatti o complicità con organizzazioni italiane?
Le complicità con le organizzazioni italiane sono poche, quasi nulle. Tutti gli studi condotti indicano che i gruppi di criminalità organizzata italiana, soprattutto di tipo mafioso, talvolta hanno chiesto il pizzo, un pagamento per l’attraversamento dei migranti nei loro territori, per lo sbarco. Non ho presente indagini o studi che indichino un coinvolgimento diretto nell’attività di smuggling.
Si fanno pagare una tangente?
Sì, dai migranti o dai gruppi che gestiscono il flusso o che supportano l’attraversamento dei migranti. È un’estorsione per poter svolgere questa attività. Altro discorso è lo sfruttamento del migrante nel momento in cui si ritrova in Italia e non ha un lavoro. Comunque non è un’attività che rispecchia i punti di forza della criminalità organizzata di stampo mafioso.
Ma per smantellare questi gruppi ci vorrebbe un’azione di contrasto in Libia?
Dovrebbe essere un contrasto che interessa un’area molto vasta. Abbiamo osservato che quando l’Egitto ha cominciato a fare pressione, i flussi si sono relativamente e facilmente spostati in territorio libico. Finché non c’è un contrasto diffuso l’attività può spostarsi da un’altra parte. Non significa che il gruppo che era attivo in Libia si sposta e va a lavorare in Tunisia, ma che in Tunisia potrebbe attivarsi un altro network in grado di fare la stessa cosa. Serve moltissima attività di cooperazione internazionale, un’attività a livello di area e che non sia solo formale, perché si possono fare accordi, ma se non c’è nessun monitoraggio non si hanno risultati.
Ma allora cosa bisogna fare?
Servirebbero riforme più ampie di tutta la strumentazione per la migrazione internazionale, perché anche nel momento in cui dovessero essere fermati questi gruppi, i flussi migratori e la pressione verso l’Europa sono talmente forti che troverebbero qualche altro sbocco.
(Paolo Rossetti)
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