I padri costituenti avevano ben chiaro il quadro valoriale in cui racchiudere il dettato costituzionale, entrato in vigore il 1 gennaio 1948, per rispondere ad un Paese unico per storia, tradizioni, modelli sociali, diversità territoriali profonde e culturali (nel referendum sull’assetto istituzionale il Paese si era diviso, repubblicano al Nord e monarchico al Sud).
I princìpi dovevano riprendere i valori universali dell’uomo cioè la libertà, l’uguaglianza, i diritti della persona, il rispetto delle diversità da realizzarsi con la laboriosità prudente dell’antica storia contadina fatta di solidarietà e di condivisione, promuovendo il lavoro e tutelando quella classe media fatta di artigiani, piccole imprese, commercianti, agricoltori che da sempre rappresenta la spina dorsale del Paese.
Oggi ci troviamo di fronte ad una forma di collasso di quei prerequisiti che erano il nostro fondamento; infatti possiamo osservare le asimmetrie tra dettati costituzionali e realtà (modelli attuativi) fermandoci ai principi fondanti racchiusi nei primi 12 articoli (ne vedremo i più evidenti aggiramenti).
L’ osservazione andrebbe fatta su tutto il dettato costituzionale, ma già l’evidenza della carenza attuativa dell’architrave valoriale (i principi fondanti) del sistema rappresenta un momento di riflessione da estendere poi al resto.
Articolo 1
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Oggi il livello di disoccupazione è il 7,8 % (6,1 % al Nord e 8,6 % al Centro, 15,16 % al Sud) e rappresenta il peggiore tasso di disoccupazione in Europa, per quanto riguarda i giovani il livello di disoccupazione è pari al 23,9%.
A queste percentuali, per una lettura corretta del problema dobbiamo aggiungere i sottoccupati ed quei dipendenti pubblici assunti per collusione con una classe politica che deve vivere della cultura parassitaria della rendita e non per reale bisogno; dovremmo aggiungere l’esercito dei precari – quasi 3,5 milioni – che scivola fra le varie categorie.
Il lavoro era fondamentale nel pensiero dei padri costituenti perché la sua mancanza in quanto lesiva dei principi di libertà e di uguaglianza, riduce la partecipazione alla vita democratica; ne esce una democrazia monca ed incoerente.
Articolo 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Il principio di solidarietà significa il contributo di ciascuno alle spese pubbliche (si vedano gli art. 53 e art. 81) per procedere alla redistribuzione del reddito fra i cittadini per sostenere le classi più deboli in modo da ridurre le disuguaglianze e consentire gli equilibri ed il pareggio di bilancio con un passivo crescente.
Con riferimento ai dati del 2022, secondo i dati Istat, si evidenzia rispetto ad un Pil di 1.782 mld/euro, 183 mld/euro di economia sommersa, un deficit annuo del 5,6% del Pil ed un debito di 2762 mld/euro.
L’evasione fiscale è determinata anche da un’impenetrabile normativa giuridica che rappresenta troppo spesso un inestricabile labirinto che causa una guerra tra controllori e controllati.
Il reddito medio al Nord è tra i 33.000 (Nordest) e 36.000 (Nord ovest) euro pro capite, al Centro è 33.830, al Sud tra i 24.000 ed i 26.000 euro pro-capite; l’indice Gini sulla disuguaglianza è basso al Nord (0,29-0,30) e alto al Sud (0,34-0,36). Gli equilibri di bilancio richiesti sono saltati e la conseguenza è un debito pubblico che si avvicina ai 2.762 mld/euro la cui gestione politica aumenta le disuguaglianze e riduce la solidarietà. La colpevole mancanza di controllo da parte degli organi preposti e, spesso, anche la mancanza di competenze specifiche impediscono la realizzazione dei dettati costituzionali: il principio di solidarietà salta.
Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Con questo articolo siamo all’apoteosi della distrazione; per gli esempi manca solo l’imbarazzo della scelta sia nel pubblico che nel privato.
È emblematica, a questo proposito, un’istituzione che dovrebbe rappresentare simbolicamente il senso del “civil servant”, la Sna (Scuola Nazionale Amministrazione, ex Sspa) e in particolare quella di Economia e Finanza dove dovrebbero essere forgiati i ruoli amministrativi dello Stato il cui esempio sia la luce da seguire per la burocrazia ammalata.
I docenti delle scuole indicate hanno diverse provenienze, alcuni hanno passato regolari concorsi nazionali diventando professori (la remunerazione oscilla tra i 80.000 ed i 120.000 euro). Altri, magistrati, politici, dirigenti ministeriali, sono diventati professori equiparati per decreto ministeriale, avendo come remunerazione l’ultima riconosciuta (le remunerazioni base arrivano ad oltre i 300.000 euro). L’ attività didattica di questi secondi, in seno alle scuole – specie Economia e Finanza – è limitata ed occasionale a favore di altri incarichi.
Ma non dovrebbe essere compito loro, i “civil servant”, come detto dall’articolo, promuovere i dettati costituzionali cioè rimuovere gli ostacoli all’uguaglianza, all’equità, alla ricerca dell’efficienza e alla riduzione degli sprechi anche grazie al loro esempio?
Un aspetto rilevante ai fini della realizzazione del principio di uguaglianza e di libertà è rappresentato da un sistema giuridico che ha tempi attuativi così lunghi da ledere il senso di giustizia; una normativa complessa e bizantina in ogni campo rende complesso ed interminabile ogni procedimento (la durata media di un fallimento sono 9,5 anni, che oscillano tra i 5 anni di Trento ed i 22 di Caltanissetta).
L’organizzazione giudiziaria sconta sia le inefficienze di un sistema culturale babelico che genera caotici conflitti normativi, sia la sua incapacità di passare da funzione – applicare le norme – a servizio – essere generatrice di comportamenti virtuosi. Così rischia di scollarsi dai valori etici e morali che la devono sostenere e perde la sua funzione di garante di diritti e dell’uguaglianza.
Articolo 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Il commento a questo articolo è già espresso nei precedenti, la mancanza di controllo e lo sviluppo di una cultura giuridica centralizzata, spesso fine a sé stessa e pensata su Marte rende estremamente difficile anche avviare una semplice attività imprenditoriale. Gli elenchi delle normative funzionali alla semplificazione rappresentano un trattato di come si possa semplificare complicando sistematicamente i dettati giuridici applicativi; l’Italia è stata la culla del diritto, ora però rischia di essere la sua tomba.
Così una Costituzione pensata per un Paese in cui il 92% degli occupati è nelle piccole medie aziende – piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori – viene ignorata da una pachidermica amministrazione pubblica che si autorigenera in continuazione allontanandosi sempre di più dalla realtà che finisce per schiacciare. Stiamo soffocando la classe media che sostiene il Paese e per la quale la Costituzione era stata pensata.
Articolo 5
La repubblica è una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali attua nei servizi che dipendono dallo stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
I padri costituenti avevano ben chiare le diversità storiche e territoriali che da secoli differenziano il Paese nelle sue aree.
La cultura agricola del Paese al Nord ha preso forma nella mezzadria – compartecipazione al risultato –, al Sud nel latifondo e bracciantato che si incarna nella cultura della rendita. Oggi siamo riusciti a realizzare il decentramento concentrando il controllo ed avviando un finto federalismo che mette insieme il peggio.
Il Patto di stabilità è forse la più evidente forma di gestione delle diversità con la logica dell’uniformità; i vincoli di bilancio sono sulle singole voci in modo analitico e minuzioso, così si perdono di vista le aree di risultato.
Il patto nella sostanza ha dato luogo ad elusioni e patologie gravi; le partecipate ed i derivati ne sono il lampante esempio. Così si apre un contenzioso insanabile tra queste e le amministrazioni periferiche e si perde il controllo della spesa e del debito, specie quando controllori e controllati si scambiano continuamente d’abito con conflitti di interesse sempre aggirati. Siamo in mezzo ad un guado tra un modello istituzionale accentrato ed un Paese diversificato e lì rischiamo di soffocare.
Articolo 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
Purtroppo, si commenta, drammaticamente, da solo, subendo la ricaduta delle inefficienze indicate.
Articolo 12
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticale di eguali dimensioni.
A questo punto sarebbe opportuno aggiungere a tale dettato che il tricolore dovrebbe essere listato a lutto. Le responsabilità, però, sono di tutti nel privato e nel pubblico, indistintamente, anche se a diversi livelli, per avere perseguito solo la cultura della rendita e l’interesse personale a scapito del bene comune e promosso come merito quello “dell’appartenenza”.
Gli stessi media hanno finito per diventare, colpevolmente, parte del sistema, così faticano a trovare il coraggio di dare un’informazione indipendente in grado di promuovere la cultura e la verità dei fatti troppo spesso misconosciuti e perdono la capacità di capire i segni di cambiamento dei nostri tempi.
La storia sta voltando pagina, ma se non saremo capaci di affrontare i cambiamenti con uno spirito creativo, nuovo e solidale rinnovandoci negli ideali vuole dire che dal punto di vista creativo non abbiamo molto da dire; così non andremo lontano.
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