Il governo Meloni ha fin da subito detto di voler favorire la maternità e le nuove famiglie, un obiettivo che diventa sempre più necessario visto che nell’ultimo anno si sono registrati 180.000 nascite in meno, dopo il potenziamento dell’assegno unico, il governo quindi sta cercando di lavorare ad un codice deontologico da condividere con le aziende e le parti sociali, in modo da favorire la maternità nelle imprese. Una vera e propria mission impossible visto che le dimissioni delle donne sono rappresentate al 90% per questioni legate alla maternità.
Imprese e maternità: in arrivo un nuovo codice deontologico
Si tratta di una statistica inaccettabile dal momento che le nascite sono sempre meno. Il codice deontologico dovrebbe essere affiancato alle certificazioni per la parità di genere che sono diventate fondamentali anche per l’ottenimento di fondi statali.
Il codice a cui le aziende dovranno adeguarsi punta su tre principi cardine: quello di agevolare le continuità di carriera delle madri che lavorano, di promuovere la cura dei bisogni di salute delle donne, di incentivare tempi e modi di lavoro più vicini alle esigenze di chi ha figli come lo smart working oppure il lavoro part time e i nidi. Il ministro della famiglia e delle pari opportunità, Eugenia Roccella, ha annunciato che vi “per una primavera demografica, le politiche per la natalità dovranno consentire di istituire un codice come nuovo strumento a disposizione delle aziende che vorranno adottarlo al fine di promuovere l’adozione di politiche volte a favorire la maternità. Il ministro ha sottolineato che l’impegno collettivo è fondamentale per riuscire a risolvere il grave problema dell’inverno demografico.
Tuttavia le imprese italiane hanno già adottato sistemi per il sostegno alla natalità come quello della filiera industriale del farmaco come ricorda Il Sole 24 Ore: “le imprese farmaceutiche sono amiche della maternità, così ha detto il presidente di farmi industria Marcello Cattani che ha proseguito “le imprese valorizzano le persone le loro capacità, creano risultati economici e un clima aziendale migliore”.
Il numero di figli è aumentato del 45% rispetto alla media nazionale proprio nei settori dove ci sono imprese che si stanno certificando per la parità di genere. Si tratta quindi di un modello di welfare che andrebbe potenziato secondo il governo.
Imprese e maternità: i dati sulle dimissioni e gli occupati
Nel decennio che va dal 2012 al 2022 gli occupati che appartengono alla fascia d’età che va dai 15 ai 34 anni sono diminuiti del 7,6%, mentre gli occupati della fascia dai 35 ai 49 anni sono calati del 14,8%. Gli occupati dai 50 ai 64 anni sono aumentati del 40,8%, e quelli con 65 anni del ‘68,9%,, si tratta di uno squilibrio o occupazionale enorme che si acuirà entro il 2040 dove è prevista una diminuzione del 1,6% della forza lavoro. È quanto emerso dal rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale.
Il 21,3% è occupato con contratti a tempo determinato, part time, collaborazione e le donne rappresentano il 27,9% rispetto al 16,5% degli uomini.
I giovani dai 15 ai 34 anni rappresentano il 39,3% mentre le donne il 46,3%. Il part time involontario coinvolge il 10,3% dei lavoratori ma penalizza le donne per il 16,7% rispetto al 5,7% degli uomini. I giovani tra i 15 e 34 anni rappresentano il 13,9% e la percentuale di part-time involontario raggiunge il 20,9% delle donne Il 9% di uomini.
A fronte di tutto questo conosciamo le grandi dimissioni che nei primi mesi del 2022 ogni giorno ha interessato 8500 lavoratori, di questi il 30,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2019.
Alla base di tutto c’è una mancanza di fiducia all’interno delle proprie aziende in merito alle opportunità di avanzamento professionale, questa motivazione coinvolge il 65% degli occupati di missionari, il 44,2% invece considera lo stipendio non adeguato alle proprie esigenze soprattutto tra i giovani.
Il 42,6% invece teme di potersi trovare disoccupato nel prossimo futuro e dunque ha deciso di cercare offerte migliori. Il 79,4% dei lavoratori desidera un’attività che risponda alle proprie esigenze, mentre il 79,2% chiede Maggiore opportunità di conciliazione tra vita familiare e lavoro.
Lo smart working, a dispetto di due anni di pandemia, resta indietro rispetto ai due anni in cui è stato sperimentato e oggi coinvolge soltanto il 12,2% dei lavoratori.