L’eco della protesta nel nome di Mahsa Amini, morta dopo essere stata arrestata perché aveva indossato male l’hijab (il velo obbligatorio per le donne) è negli ultimi mesi si è andata spegnendo progressivamente. L’Iran, però, è ancora al centro dell’attenzione per l’incredibile vicenda che ha coinvolto centinaia di studentesse che sono state avvelenate per non farle andare a scuola.
Ma anche per la crisi economica che sta attanagliando il Paese, con un’inflazione alle stelle e una valuta che ha sempre meno valore. Tutti elementi che teoricamente potrebbero ridare forza alla protesta, ma che per il momento, come spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie, finanziarie e assicurative all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, non sembrano, nonostante la loro gravità, lasciare il segno. Non abbastanza per mettere in pericolo il regime.
Professore, che fine ha fatto la protesta dei mesi scorsi?
La protesta ha perso forza, anche perché non poteva durare in eterno, un po’ come avevo previsto. Però questi avvelenamenti sono una cosa gravissima, nel senso che le donne iraniane sono donne molto istruite. E sono state l’elemento che ha determinato la protesta. La rivolta in Iran delle donne si spiega anche con il loro alto livello di istruzione. Impaurirle per non farle andare a scuola è una cosa di una violenza inaudita, in questo senso il regime è peggiorato. Intanto la polizia morale ha ricominciato a girare e le voci che la davano per sciolta si sono rivelate false.
È possibile dare qualche responsabilità a questi avvelenamenti?
Io non avrei dubbi: alla fine in Iran cose di questo genere succedono solo perché le vogliono le autorità governative. In un regime così autoritario non c’è niente che succeda senza il beneplacito del Governo.
I dati di Amnesty International intanto parlano di 525 morti da quando sono scoppiati le proteste.
Sì, è vero. Ad un certo punto c’è stata una specie di amnistia, però è stata un’amnistia molto blanda.
Ma questa protesta è fuoco che cova sotto la cenere?
Ha lasciato il segno, però è difficile pensare che riprenda davanti a un regime che tutto sommato ha tenuto.
Non si aspetta che riprendano, quindi, almeno per adesso?
La vedo molto difficile, è difficile fare breccia: ci hanno provato per mesi, ci sono stati 500 morti e 19mila arresti e non è successo niente.
Intanto però c’è una situazione economica molto pesante, con una valuta ai minimi storici e l’inflazione sopra il 50%: sono fattori che potrebbero influire su una eventuale ripresa della protesta?
Sì, quella è una speranza, però oggi questa divisione del mondo in blocchi fa sì che in questo momento l’Iran possa commerciare da una parte con la Russia e dall’altra parte con la Cina. Quindi anche da questo punto di vista io non sono molto ottimista, non penso che il peggioramento della situazione economica possa influire così tanto.
Si parla di file di persone che cercano di cambiare la moneta locale in dollari.
Sì questo è successo, effettivamente. Ma c’è ancora una classe media che preferisce gli ayatollah piuttosto che un’incertezza futura.
Quello che manca è un vero soggetto politico forte che possa prendere il posto del regime attuale?
Esatto, manca una vera alternativa. Si sta proponendo il nipote dello Scià, ma mi sembra molto lontano e le generazioni recenti non sanno neanche chi è. Si è dato molto da fare ultimamente, sta cercando di proporsi come un’alternativa politica, ma non credo che riesca ad avere un seguito.
Altri soggetti all’orizzonte non se ne vedono?
Tutte le manifestazioni che ci sono state non sono riuscite ad esprimere dei leader. Mi sembra una situazione disperata.
(Paolo Rossetti)
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