In Europa l’argomento della spesa relativa alla previdenza sociale sostenuta dai singoli stati è ancora molto caldo: se dalla Francia infatti si grida alla macelleria sociale per l’innalzamento di due anni dell’età pensionabile, portata da 62 a 64 anni, in Italia si lotta col coltello fra i denti per abbassarla di almeno tre anni da 67 a 64 anni. Inoltre il governo promette una riforma pensioni 2023 che consentirebbe di andare in pensione a 62 anni, ma soltanto pochi privilegiati potrebbero accedere a questa exit, visto che l’unica ricetta che ha in mente il governo è quella di istituire una quota 41 assoluta, quindi libera dall’età anagrafica. Sarebbe un punto di svolta almeno in apparenza, poiché secondo le ultime indagini e i sistemi di calcolo INPS, un giovane che ha cominciato a lavorare a 25 anni dovrebbe comunque andare in pensione a 70 anni.
Riforma pensioni 2023: una preoccupazione non solo italiana
Il problema della exit lavorativa dei giovani se lo stanno ponendo molti economisti ancora oggi. Ma in Europa l’età pensionabile è comunque fissata a 64,4 anni e alcuni paesi come la Grecia contano di innalzarla a 67 anni entro il 2024. Macron ha le idee molto chiare: se non si alza il sistema previdenziale di almeno due anni anagrafici si arriverà al collasso. M a la Francia ha intenzione anche di semplificare i 42 regimi speciali portandoli ad un unico sistema previdenziale per tutti.
E anche questo è un elemento in comune con l’Italia poiché la quota 41 universale andrebbe a cancellare eventuali altri sistemi speciali, facendo salvo, almeno si spera, delle agevolazioni previdenziali previste da ape sociale e opzione donna che avrebbero dovuto essere integrate a livello strutturale in una legge previdenziale che tarda ad arrivare. Nonostante infatti il ministro Marina Calderone avesse annunciato forse troppo preventivamente che entro maggio il governo sarebbe approdato ad una bozza di legge previdenziale e strutturale, proposito poi cancellato in favore di un percorso graduale che dovrebbe essere ultimato entro il 2024.
Riforma pensioni 2023: le preoccupazioni per il futuro
Ma anche se la legge strutturale relativa alla riforma pensioni 2023 è stata rimanadata, in Italia si rischierà comunque un disagio sociale che potrebbe rallentare gli attuali disordini che si stanno verificando in Francia, in ultima istanza dopo il respingimento da parte del Senato francese della mozione per il referendum sulle pensioni.
Insomma torna in auge una parola d’ordine: austerity. Non ci eravamo più abituati ad ascoltarla dai tempi di Mario Monti, e dopo l’ultimo blocco della cessione del credito con 110 miliardi di crediti incagliati, quota sottostimata in quanto l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che alcune transizioni del credito sono ancora detenute da istituti bancari e assicurativi e non ancora comunicati al fisco. Una cifra che potrebbe dunque aumentare mettendo seriamente a rischio la liquidità statale, vale a dire la capacità dell’amministrazione pubblica a pagare gli assegni pensionistici. Tecnicamente un default, dopo gli ultimi tavoli di lavoro al Ministero non si è giunti ancora ad una soluzione, ma molto probabilmente si considererà di integrare alle e potenziare a livello strutturale i fondi pensionistici privati. Ma per quanto concerne la situazione dei giovani non sono ancora presenti delle soluzioni in grado di mettere fine al sicuro disagio economico sociale che si presenterà di qui a vent’anni. Della questione si dibatte ancora oggi, benché non si riesca ad approdare ad una soluzione definitiva: Enrico Marro e Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps ne hanno ampiamente argomentato nel libro “Il lavoro di oggi, la pensione di domani”. Tra fughe di cervelli e mancanza di una legge strutturale, il problema appare di difficilissima soluzione e l’Italia pare non riuscire a far fronte alla problematica. Dovremo forse aspettare il 2030? O sarà necessaria un’altra legge strutturale entro il 2035?