“Non fartelo andare bene, è un attimo farsi andare bene tutto. È importante non adattarsi a qualcosa che non ci piace, perché all’insoddisfazione ci si abitua. Invece la felicità va conquistata, anche se costa fatica arrivarci”. Così disse in un’intervista l’attore italiano Stefano Accorsi commentando una scena del film Made in Italy di Luciano Ligabue del 2018, in cui ebbe una delle parti principali.
A tutti può capitare di non riconoscere più l’unicità e la forza di ciò che ci capita nella vita. Come ciò che coinvolse Pietro, Giacomo e Giovanni il giorno della Trasfigurazione di Gesù: “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (Mt 17, 1-3). Una volta scesi dal monte e ricominciata la vita di sempre quante volte avranno avuto coscienza di quella luce? Davanti alle sfide della vita quante volte saranno tornati alla verità della presenza di Cristo, apparso in tutto il suo splendore? Spesso i vangeli ci raccontano di una distrazione, di un’abitudine, di un “accontentarsi” che hanno avuto la meglio nel quotidiano.
Il fatto che capiti anche a noi ciò che capitò agli apostoli può consolarci ma non deve lasciarci tranquilli. Infatti il Padre e il Figlio inviano lo Spirito a Pentecoste proprio perché a vincere non sia l’illusione di una vita seduta.
Lo Spirito Santo ha il compito di tenerci desti, di non farci andar bene tutto, come se tutto fosse uguale al suo contrario. All’inizio ci sono cose che non tornano, ma poi, pian piano, uno si adegua e si abitua a tutto, quasi senza accorgersi. Anche se nella vita si è stati conquistati da una novità imprevedibile e affascinante può capitare di non riconoscerla più e, anziché inseguirla, sedersi ad altre tavole, accontentandosi di quel che viene offerto. Per fare questo, però, occorre mettere a tacere le esigenze più profonde che portiamo addosso. Sarebbe come aver comprato delle scarpe fuori misura e convincersi che vadano bene lo stesso. A un certo punto uno, se non è del tutto irragionevole, le toglie e le cambia.
Uno dei tratti della Quaresima è proprio questa urgenza di verificare che numero di scarpe abbiamo preso. È il nostro o no? Stiamo comodi o i piedi fanno male? Senza barare, senza dire una cosa per un’altra, senza farci convincere da chi vuole vendercele a tutti i costi. La portata del nostro bisogno è talmente radicale che non possiamo permetterci di buttare via la vita in ciò che non la compie.
“Gesù si avvicinò, li toccò e disse: ‘Alzatevi e non temete’. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo” (Mt 17, 7-8). Abbiamo bisogno che Lui si avvicini e ci tocchi e ci dica: “Alzatevi e non temete”, con quello strano ordine di verbi. A noi verrebbe da dire: “Non temere, non aver paura, dài, su, alzati”. Cristo, invece, ordina prima di alzarsi. Alzandosi l’uomo smette di aver paura perché riprende quella posizione che gli consente di vedere bene la realtà.
Non siamo stati fatti per una vita sdraiata, rannicchiata, rimpicciolita, ma per un orizzonte ampio, libero, pieno, che non si faccia andar bene tutto, ma che desideri Tutto. Con questo criterio possiamo continuare a riconoscere e seguire i “tocchi” del Mistero che ci raggiunge nella vita di uomini e donne totalmente presi dalla sua presenza. Solo questo porta con sé l’urgenza di dire a tutti ciò che ha intercettato anche noi, si chiama missione: non una riconquista, ma un essere riconquistati in ogni istante.
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