Se è vero che “maturo è colui che arriva a compimento” (Alessandro D’Avenia) e che “maturare è trovare il proprio posto nel mondo” (Emmanuel Mounier), gli sforzi che da mondo è mondo tutti i ministri dell’Istruzione mettono in campo per riformare l’esame di maturità risultano di per sé inutili.
Perché a 18-20 anni l’uomo maturo è merce rara, anzi rarissima. Forse è sempre stato così, ma sembra esserlo divenuto ancora di più nell’ultimo mezzo secolo, per una serie di ragioni che interessano nel profondo i mutamenti della società.
Per questo motivo, come ha ben scritto Silvia Ballabio, “l’abolizione dell’esame di Stato, se avverrà, avverrà sempre troppo tardi” e, nel frattempo, “a giugno 2023 andrà in onda il solito teatrino” al quale fingeranno di credere, come nel famoso “re nudo” di Andersen, studenti, genitori, docenti, funzionari ministeriali chiusi nei loro uffici a pontificare incoraggiati da pedagogisti alla moda e, infine, lo stesso ministro Valditara del quale attendiamo, come da prassi, il solito messaggio di incoraggiamento il 20 giugno, vigilia della prima prova.
Il quale ministro, intendiamoci, nominato meno di sei mesi fa, non poteva inventarsi dalla sera alla mattina un riforma degna di questo nome dell’esame di Stato “conclusivo del secondo ciclo di istruzione” (questa l’esatta e pomposa definizione ufficiale in vigore da alcuni anni con l’idea balzana che cambiare un’etichetta significhi di per sé cambiare la storia), né tantomeno pensare di abolirlo.
Tuttavia, non sarebbe degno dell’alto compito assunto se credesse che un sostanziale ritorno al passato pre-pandemico delle regole con cui si svolgerà la prova (come ben documentato dallo stesso articolo sopra ricordato) bastasse a ridarle sostanziale serietà. Certo, le ultime tre annate sono state quanto di più vacuo (e, mi si consenta, di ridicolo, con quelle prove scritte sulle quali non era concessa alcuna correzione e con quelle orali ridotte ad un argomentino scelto dal candidato) sia mai stato varato da quando divenne ufficiale nell’anno scolastico 1922-’23.
Il ritorno alla “normalità” segna, dunque, una sorta di atto dovuto indipendentemente dalle proteste che qua e là hanno subito inscenato i soliti “movimenti alternativi” degli studenti. Sparuti gruppi organizzati, s’intende, perché la stragrande maggioranza dei maturandi o prossimi a tale ruolo sa bene che un esame serio equivale ad un voto finale di valore, cioè spendibile in futuro con una certa credibilità. Temiamo tuttavia, sulla scorta delle “magnifiche sorti e progressive” di Leopardi in cui “mira e specchia” il “secol superbo e sciocco”, che molto altro tempo ancora dovrà passare prima di togliersi la maschera davanti ad una realtà fatta di ammissioni e promozioni ormai vicinissime al 100 per cento, frutto non di ponderate scremature precedenti, ma di larghezza di maniche indotte da un sistema scolastico ridotto a “parcheggio” in attesa di trovare un posto di lavoro o di iscriversi ad un corso universitario dove, per altro, verrà richiesta una minima padronanza di scrittura che spesso i neomaturi non avranno.
Di un solo strumento docenti e discenti dispongono per uscire da questo tunnel della mediocrità: preparare l’esame con le conoscenze, le competenze e l’umana serietà richiesta a chi non intende farsi prendere in giro. Ed è qui che si vede chi, nonostante i limiti naturali imposti dalla giovane età e il tappeto rosso srotolatogli davanti dallo Stato, se non proprio ancora maturo sta ormai per diventarlo.
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