Dieci anni sono trascorsi da quando l’argentino Jorge Mario Bergoglio, “venuto dall’altra parte del mondo”, è stato eletto Papa. Anni densi come pochi per la Chiesa, travagliati e appassionanti, aperti al rinnovamento e stretti tra minacce e ricatti.
Amato e stimato in gran parte del mondo, Francesco non lo è stato in pari modo da alcuni settori del cattolicesimo che non hanno mai veramente compreso il Pontefice latinoamericano accusato, a torto, di essere un populista-peronista anticapitalista o, al contrario, di essere un globalista progressista asservito ai poteri forti del mondialismo. Accuse antitetiche che si elidono a vicenda.
In realtà tutti gli ultimi pontefici da Paolo VI in avanti hanno dovuto subire critiche, talvolta molto dure, al loro operato. Mai tuttavia il “dissidio cattolico” verso il Papa ha raggiunto un livello d’intensità paragonabile a quello che ha accompagnato il pontificato di Francesco. I malumori e le resistenze dei gruppi che non hanno mai accolto il Concilio Vaticano II, sedati apparentemente sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, sono riesplosi con un’intensità nuova, alimentata dal vento manicheo e apocalittico che spira in Occidente dopo la tragedia dell’11 settembre 2001.
Nel nuovo millennio occidentalisti e sovranisti, neoconservatori e tradizionalisti, hanno fatto del Papa il capro espiatorio, il responsabile della crisi del cattolicesimo odierno, il relativista buonista dal cuore tenero che, in tempi di guerra, antepone la Misericordia alla Verità. Si tratta di accuse prive di fondamento, come ho ampiamente dimostrato nel mio volume Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco (Jaca Book 2022). Accuse che hanno raggiunto il loro picco quando, con la pubblicazione di Amoris laetitia nel 2016, anche alcuni cardinali hanno sollevato dubbi sulla ortodossia del Papa. Un clima di sospetto intorno al Pontefice, divenuto nebbia fitta allorché l’ex nunzio negli Usa, l’arcivescovo Carlo Viganò, si è posto come accusatore del Papa chiedendo le sue dimissioni.
Polvere e fango di cui oggi non rimane più nulla. Coloro che accusavano il Papa ora tacciono e il loro silenzio è eloquente. Francesco ha dimostrato, anche agli occhi dei suoi avversari, di non essere un Papa di parte. Ha certamente, ed è un suo merito, bloccato il fronte conservatore che aveva già tentato di impossessarsi del pontificato di Benedetto XVI, ma non si è allineato a quello progressista che già sognava il Concilio Vaticano III. Bergoglio è un figlio ideale del Vaticano II, di un Concilio che richiede di essere pienamente attuato.
È un Papa mistico e sociale, contemplativo nell’azione secondo la formula ignaziana. Non è certamente di destra. Lo ha detto lui stesso. La sua concezione della tradizione non è statica. Il depositum fidei si evolve senza, però, che il filo rosso della continuità possa essere spezzato. Lo ha dimostrato con il modello offerto in Amoris laetitia, nel quale la possibilità di accedere all’Eucarestia, offerta ai divorziati risposati, non viola in alcun modo l’indissolubilità del matrimonio sacramentale.
Sul piano sociale poi, il suo impegno per i poveri, per gli esclusi, per il lavoro, lo hanno portato al rifiuto della “economia che uccide”, alla ripresa della dottrina sociale della Chiesa caduta nell’oblio dopo la caduta del comunismo. Certamente la sua critica al capitalismo dell’era della globalizzazione non è piaciuta ai capitalisti, cattolici o laici, di orientamento liberal. E, tuttavia, la visione dinamica della tradizione e l’impegno sociale non giustificano l’etichetta del Papa “rosso”. Francesco ha dimostrato ampiamente di essere profondamente fedele alla dottrina della Chiesa.
Sul piano etico ha criticato in molteplici occasioni aborto, eutanasia, modello gender, cancel culture. La sinistra postmoderna non ha gradito. Il fronte liberal ha preferito in questi casi tacere, al pari della destra, anch’essa silente di fronte all’appassionata opposizione del Papa contro la guerra che, al presente, insanguina l’Europa.
Il Papa della pace, ecco cosa è stato Francesco in questi 10 anni. Lo è stato innanzitutto nel dialogo con le religioni, con l’islam in particolare. E questo proprio quando la follia dell’Isis spingeva l’Europa ad uno scontro frontale con il mondo islamico in nome della “civiltà cristiano-occidentale”. Con tenacia il Papa, anche qui incurante dei critici che lo accusavano di essere troppo morbido e cedevole con i seguaci di Maometto, ha separato il bianco dal nero, ha offerto una legittimazione all’islam pacifico, ha contribuito ad isolare il terrorismo religioso in nome del Dio della misericordia e non della guerra. Ha così instaurato, anche grazie al rapporto con Ahmed al-Tayyib, grande imam di al-Azhar, un rapporto con l’islam che mai la Chiesa ha avuto. Questo, come ha scritto Lucio Brunelli, ha portato allo spettacolo di “Messe celebrate da un Papa in terra d’Arabia, dove sembrava impossibile fino a pochi decenni fa vedere un successore di Pietro attorniato da una folla di cristiani, decine di migliaia di fedeli, lavoratori filippini o indiani, che dalla gioia non riuscivano a credere ai propri occhi”.
La “geopolitica della misericordia”, di cui ha trattato più volte p. Antonio Spadaro, si è dimostrata vincente. Rischiando, certo, come nel caso del dialogo tra la Chiesa e la Cina voluto fortemente dal Papa gesuita memore dell’esempio di Matteo Ricci. E questo nonostante le riserve degli Stati Uniti.
A dieci anni dall’elezione il bilancio di un pontificato che ha osato rischiare, che preferisce una Chiesa accidentata ad una immobile, appare positivo. Rimangono, certo, problemi aperti: dalla formazione intellettuale e spirituale del clero e dei religiosi, in un contesto che vede il vuoto di un pensiero cattolico, alla formazione di un laicato maturo e consapevole, capace di incidere nella storia.
Nondimeno il quadro non è quello di dieci anni fa. Al momento della sua elezione Francesco aveva ereditato una Chiesa a pezzi, macchiata dallo scandalo della pedofilia del clero, da quelli finanziari, da Vatileaks. Il Papa ha saputo, con la sua testimonianza personale, restituire alla Chiesa la sua dignità, il suo rilievo nella scena internazionale. Ha saputo altresì muovere le acque stagnanti di un cattolicesimo ingessato, reattivo, impaurito di fronte alla secolarizzazione. Un cattolicesimo tutto centrato sulle questioni etiche, dimentico di evangelizzazione e di promozione umana, la coppia polare che sta al centro di Evangelii nuntiandi di Paolo VI, documento basilare per il Bergoglio pensiero.
A questo cattolicesimo clericale, essenzialmente “conservatore”, Francesco ha indicato la via della Misericordia come strada attraverso cui Cristo può toccare il cuore dell’uomo contemporaneo. È la stessa via indicata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. È la Chiesa come “ospedale da campo” per i feriti della storia, delle guerre spirituali e materiali del nostro tempo, per i borderline, gli abitanti delle periferie geografiche ed esistenziali, per i poveri del mondo.
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