Sono passati già 11 giorni dal fatidico 4 marzo 2023 data che avrebbe dovuto sancire l’ingresso di Lufthansa nel capitale di ITA, la compagnia di bandiera Italiana. Questo era infatti il termine che Lufthansa inizialmente si era prefissata per firmare l’accordo con il Governo italiano per l’acquisto di una quota di minoranza del capitale di ITA.
Anche se dagli ambienti governativi fanno filtrare un ottimismo generalizzato (dettagli tecnici è la parola d’ordine), più di qualcuno ha notato che invece a porte chiuse aleggia una certa tensione quando qualcuno nomina il dossier ITA. Ed è comprensibile. Lo scacchiere internazionale infatti vede attualmente sul mercato più di qualche piatto più ricco di ITA e magari anche privo di insidie, come ad esempio la scandinava SAS oppure la portoghese TAP, ma anche gli assets della britannica FlyBe, senza contare che sul mercato ci sono comunque tantissime compagnie aeree che aspettano solo un cenno pur di entrare nella corte di Lufthansa.
L’annuncio che Carsten Sphor ha fornito ai media qualche giorno fa, durante l’assemblea per l’approvazione del bilancio del Gruppo Lufthansa nella quale ha citato l’interesse del colosso tedesco per l’operazione ITA, è stato un colpo di genio. Sphor ha dichiarato che: “..a seguito della firma di una lettera di intenti da parte di Lufthansa Group e del Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, entrambe le parti stanno attualmente negoziando esclusivamente sulla forma di un potenziale investimento nella compagnia aerea italiana ITA Airways”. Ma questo vuol dire tutto e vuol dire niente. Tradotto: Lufthansa è sempre interessata a ITA, ma se dovesse trovare lungo il suo cammino qualcosa di più interessante, “bye bye ITA”.
Inoltre, Lufthansa sembrerebbe voler attendere l’approvazione del bilancio al 2022 di ITA prima di definire il proprio ingresso nel vettore, in modo da non essere coinvolta nella precedente gestione e nell’eventualità che dovessero verificarsi dei problemi di natura legale o economica.
Quindi, sembra che tutto sia stato rimandato di almeno 6 mesi, perché la nuova data indicata da Lufthansa per entrare in ITA sembra essere stata posticipata a settembre 2023 e cioè dopo l’approvazione della semestrale che dovrà certificare che il nuovo piano industriale elaborato da ITA sta in piedi, e coincide anche con la fine della stagione estiva ove si potrà tastare il reale stato di salute della compagnia di bandiera dal punto di vista delle vendite.
Il problema per Lufthansa è che in ITA ci sarebbero troppi dossier legali aperti, e guarda caso proprio in questo periodo dovrebbero emergere i primi riscontri con la pubblicazione delle prime ordinanze. In particolare, la partita si giocherebbe sul deposito agli atti processuali del contratto di vendita degli assets da parte di Alitalia a ITA. Infatti, i giudici del lavoro che stanno valutando le cause relative al famoso art. 2112 del codice civile sulla prosecuzione dell’attività in caso di cessione di ramo di azienda stanno valutando di dare accesso ai documenti relativi alla vendita degli assets alle controparti le quali potranno così visionarli e valutare i passi successivi.
Ma cosa ci potrà mai essere di tanto importante in quei documenti da dare battaglia così ferocemente e proprio su questo particolare punto della vertenza? Gli avvocati degli oltre 1.300 ex dipendenti Alitalia pensano (e non solo loro) che nel contratto di vendita ci possa essere una dicitura inserita dai Commissari straordinari di Alitalia che vedrebbe quel contratto di vendita come una vera e propria cessione di ramo di azienda.
ITA avrebbe già dovuto esibire quei documenti alle controparti, che li hanno richiesti anche come attività di accesso agli atti ai sensi della trasparenza sugli atti amministrativi delle aziende a controllo pubblico, il vettore invece si è sempre trincerato dietro il fatto che a loro dire ITA è una società del tutto privata e quindi non deve sottostare alle norme sulla trasparenza degli atti amministrativi. I legali di ITA, inoltre, pochi mersi or sono avrebbero comunicato ai Giudici che l’azienda potrebbe accettare di far visionare ai legali di contro parte solo dei “pezzi” del contratto, ma senza che la parti possano farne copia alcuna. Ma i Giudici la potrebbero pensare diversamente, infatti, i legali dei 1.300 ex Alitalia hanno recentemente depositato nei vari fascicoli di causa la recente sentenza del Consiglio di Stato e che ha determinato che ITA è una società a controllo pubblico.
Ma vediamo come il Consiglio di Stato è giunto alla determinazione di tale decisione. Per il Consiglio di Stato era necessario preventivamente poter determinare se ITA S.p.A. rientrasse o meno in una delle due tipologie societarie considerate dall’art. 2 bis co.2 lett. b) e co.3 D.Lgs. n. 33/2013, ossia tra le “società in controllo pubblico” o tra le “società a partecipazione pubblica”. Il Consiglio di Stato ha ritenuto, e lo si apprende dalla sentenza, che ITA S.p.A. rientrasse nell’ambito della prima tipologia societaria. Il Consiglio di Stato ha ritenuto anche che debba preferirsi il dato normativo di riferimento, relativo al D.Lgs. n. 33/2013 sulla trasparenza degli atti amministrativi delle società a controllo pubblico disponendo che sino a quando l’attuale assetto societario non muterà in modo significativo, ITA. S.p.A. dovrà considerarsi società controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze. ITA, quindi, per il CdS è sottoposta a un controllo pubblico e, come tale è tenuta ai sensi dell’art. 2 bis co.2 lett. b) D.Lgs. n. 33/2013 agli obblighi di trasparenza, ivi inclusi quelli previsti dall’art. 16 (Obblighi di pubblicazione concernenti la dotazione organica e il costo del personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato), dall’art. 17 (Obblighi di pubblicazione dei dati relativi al personale non a tempo indeterminato) e dall’art. 19 (Bandi di concorso).
ITA S.p.A. pertanto, è per il CdS un ente di diritto privato esercente un’attività anche funzionale al soddisfacimento di pubblici interessi e come tale è sottoposta agli obblighi di evidenza e trasparenza di cui l’accesso documentale costituisce disciplina applicativa.
Molto probabilmente i Commissari di Alitalia si sarebbero resi conto che nel prossimo futuro avrebbero potuto trovarsi in una situazione complicata e scomoda e all’epoca avevano chiesto a più riprese al Governo di varare una norma che li ponesse al riparo da eventuali azioni giudiziarie, sia civili che penali nelle more delle attività di cessione e vendita degli assets a ITA, insomma una sorta di salvacondotto tombale.
Il Governo, invece non ha provveduto a varare tale norma e da qui l’ipotesi che i Commissari non trovandosi in spalla il paracadute richiesto, abbiano interpretato alla lettera il codice civile inserendo quindi nell’ atto di vendita anche una dicitura che tendenzialmente ricondurrebbe a considerare la vendita degli assets una vera e propria cessione di “ramo di azienda”. Qualora questa ipotesi dovesse essere confermata dalla lettura delle carte, i Giudici non potranno fare altro che considerare ITA una prosecuzione di Alitalia e per ITA quindi si aprirebbero le porte per oltre 7/8.000 cause di riassunzione, senza contare i ristori economici, i danni morali e materiali e via discorrendo, per svariate decine e decine di milioni di euro.
Tutto ciò ovviamente comprometterebbe l’asse portante della compagnia aerea ponendola nella difficile situazione di dover rivedere le strategie, ogni calcolo finanziario e ogni tipo di piano industriale elaborato fino a questo momento.
Non a caso Lufthansa tra i vari punti dell’accordo avrebbe avanzato una richiesta al nostro Governo di poter avere adeguate garanzie bancarie per mettersi al riparo da ricadute legali di questo tenore, una sorta di clausola di salvaguardia e quindi una “way out” nel caso dovessero emergere in futuro eventuali problemi di ITA legati alle vertenze giudiziarie, così complicati e tali da rendere il vettore non più gestibile.
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