La conciliazione dei tempi di vita e lavoro rappresenta un’evoluzione intrinseca di una società e di un mondo del lavoro in continua evoluzione. In questo contesto si inserisce il dibattito, affrontato anche su queste pagine, relativo alla “settimana corta”. In termini organizzativi, definire un modello che riesca a coniugare produttività, sviluppo professionale e soddisfazione nel proprio lavoro appare un esercizio complesso anche in un settore come quello del credito decisamente all’avanguardia in materia.
L’articolo 104 del Contratto collettivo nazionale di lavoro disciplina la possibilità di svolgere l’attività lavorativa su 4 giorni, per 9 ore al giorno per un massimo di 36 ore settimanali, dal lunedì pomeriggio al sabato mattina. Una previsione datata ma rimasta inutilizzata se non in casi sporadici.
Il mancato accordo tra le organizzazioni sindacali e la più grande banca del Paese per l’introduzione massiva del cosiddetto 4×9, ha riacceso l’interesse su una tematica che, oltre al fattore organizzativo, deve essere necessariamente affrontata anche, e soprattutto, a livello culturale.
Le rigidità nell’organizzazione del lavoro riscontrate nella quasi totalità delle banche domestiche si scontrano, inevitabilmente, con gli interessi, le tutele e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del settore. Introdurre il lavoro agile, regolato anch’esso nel Ccnl, e poi pretendere che il lavoro venga svolto contemporaneamente a quello svolto in ufficio, rappresenta una sostanziale contraddizione.
Allo stesso modo, l’abbandono delle postazioni fisiche di lavoro senza impegno a prevedere forme di co-working o di qualsivoglia clausola a garanzia di un futuro rientro è un’ulteriore preoccupazione.
Se la parte datoriale sembra arroccata sulle proprie posizioni, quella sindacale deve trovare il coraggio di affrontare le nuove situazioni attraverso l’utilizzo di strumenti e metodi nuovi, adeguati a un nuovo modo di progettare il lavoro.
L’evoluzione tecnologica che vede, per esempio, l’introduzione degli algoritmi – le cui variabili sono esclusivamente a conoscenza della controparte – per determinare le caratteristiche dimensionali delle filiali, portando a una desertificazione preoccupante diverse zone del Paese, definisce un sistema decisionale unilaterale rivolto solo al profitto.
Come rapportarsi all’algoritmo e determinarne gli obiettivi rappresenta una nuova sfida che, però, deve coinvolgere tutti i soggetti interessati e svilupparsi attorno a quella responsabilità sociale oggi forse dimenticata. Una sfida difficile e complicata ma necessaria.
Il settore del credito, essenziale per lo sviluppo socio-economico del Paese, nel passato è stato capace di grandi gesti, efficaci e lungimiranti: l’istituzione del Fondo di sostegno al Reddito che in questi anni ha accompagnato alla pensione circa 45.000 lavoratori senza incidere sulle casse dello Stato e il Fondo per l’Occupazione finanziato interamente dai lavoratori e dalle lavoratrici del settore come strumento di politiche attive nella categoria.
Oggi va recuperata quella lungimiranza, figlia di una coscienza comune di essere uno snodo fondamentale per lo sviluppo e la tenuta del Paese, ovvero riacquistare quel senso del bene comune che sa andare oltre il semplice risultato economico o rivendicativo.
Un progetto, una visione futura comune e, per fare questo, servono uomini e donne, banchieri e sindacalisti, coscienti di quali sia la posta in gioco e capaci, finalmente, di dare il via a una reale e concreta partecipazione dei lavoratori quale strumento di “elevazione” della società, sia dal punto di vista economico che etico, così come la Cisl andrà proponendo nelle prossime settimane.
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