La guerra divide anche la Chiesa ortodossa, spaccata tra i sostenitori dei russi e chi rimane dalla parte di Kiev. E il Governo Zelensky interviene anche su questo, tanto da sfrattare la Chiesa ortodossa ucraina che di fatto (anche se non formalmente) ha ancora legami con il Patriarcato di Mosca dal Monastero di Kiev Pechersk, le Grotte di Kiev.
“Si tratta di una situazione molto delicata” racconta Stefano Caprio, sacerdote in rito bizantino-slavo residente in Russia dal 1989 al 2002, docente di patrologia e teologia e autore di numerosi studi dedicati al rapporto tra potere e ortodossia.
Da dove nasce lo sfratto intimato dal Governo?
È una questione che si trascina da un po’ di tempo e che scaturisce dalle divisioni dell’ortodossia in Ucraina e dalle posizioni assunte sulla guerra. Questa Chiesa, che faceva parte del Patriarcato di Mosca, già da maggio dell’anno scorso ha dichiarato la sua autonomia dal Patriarcato facendo un sinodo. Formalmente non è più legata al Patriarcato di Mosca. Però, essendo la Chiesa più grande che c’è in Ucraina, presenta al suo interno posizioni diversificate a seconda dei singoli vescovi, sacerdoti, parrocchie, monasteri. Nei mesi scorsi il Governo ucraino ha fatto una verifica giuridica, concludendo: “Sì, voi avete dichiarato l’autonomia ma nei vostri statuti risultate ancora partecipanti al Patriarcato di Mosca”.
La verifica, tuttavia, è andata anche oltre.
Sì. Il Governo ha fatto controllare l’amministrazione e le attività della Chiesa, delle parrocchie e dei sacerdoti e ha visto che tanti sono ancora legatissimi al Patriarcato di Mosca. E quindi ha deciso di vietare tutte le espressioni di questa Chiesa che dimostrano di essere ancora legate al Patriarcato moscovita.
Anche se ufficialmente hanno preso posizione contro l’invasione dei russi?
Hanno preso posizione a livello di gerarchia, ma poi a livello di singole comunità la situazione è più frastagliata. Dentro questa questione c’è quella del Monastero delle Grotte di Kiev, che in realtà non è di proprietà della Chiesa ortodossa, ma dello Stato. Le autorità statali hanno disposto una verifica e rilevato che buona parte delle proprietà, delle opere d’arte, vengono sottratte e portate via. Dunque la comunità monastica non osservava le regole del contratto di usufrutto e quindi il contratto è stato bloccato.
Una questione almeno formalmente che non c’entra con il legame con la Russia?
C’entra anche quella, perché da una parte c’è la questione dell’osservanza del contratto, dall’altra quella del legame con la Russia, inaccettabile per Kiev. Il problema è che le Grotte di Kiev sono un insieme di monasteri, da quello più grande in cima alla collina a quelli più piccoli scendendo fino al fiume Dnipro: ci sono molti edifici e chiese e lì ci sono monaci di tutte le giurisdizioni. È molto difficile raccapezzarsi. A capo di quella comunità ci sarebbe ancora il metropolita Pavel, uno di quelli che dimostra di essere ancora molto legato a Mosca. Non lo hanno ancora cacciato ma stanno per farlo.
Una matassa difficile da dipanare. Cosa succederà?
In questa situazione, invece di aspettare e fare gradualmente chiarezza punto per punto, hanno deciso un’azione di forza, dicendo: “il contratto scade, quindi entro il 29 marzo dovete andarvene tutti”. È anche vero che subito dopo questa dichiarazione del Governo il ministro della Cultura Tkacenko, da cui dipende il Monastero, ha detto: “Non vogliamo cacciare nessuno, tutti i monaci possono rimanere a certe condizioni”. Le condizioni sono sostanzialmente due: che dimostrino di non aver sottratto proprietà dello Stato al Monastero e di non avere rapporti diretti con Mosca. Vogliono che si dichiarino indipendenti da Mosca e si sottomettano alle regole ucraine. L’aspetto più delicato riguarda, più che i monaci, i dirigenti, quindi il metropolita Pavel e gli altri gradi ecclesiastici del Monastero. Vorrebbero cacciare loro, più che i monaci.
Questo perché proprio loro dimostrano di essere più legati con la Russia?
Sì e proprio per questo durante la guerra hanno cercato di prendere icone, oggetti sacri, opere d’arte per farli portare in Russia. Oltre al fatto che anche tra i monaci c’è chi fa azioni di sostegno alla guerra russa: spionaggio, delazioni, passaggio di informazioni. Perché i monaci sono tra i più estremisti anche a livello politico. E il legame tra Chiesa e politica, purtroppo, sia in Russia che in Ucraina, è strettissimo.
Ma l’obiettivo finale del Governo ucraino qual è?
L’obiettivo finale è di staccare completamente la Chiesa ortodossa ucraina dal legame con Mosca. Esiste già una Chiesa autocefala, riconosciuta da Costantinopoli, con la quale quelli che erano legati a Mosca non si vogliono unire: ci sono antichissime contrapposizioni, litigi, conflitti. Qualcuno si unisce ma molti non lo vogliono. Alla fine bisognerà fare un’azione di forza: lo Stato imporrà o l’unione di queste due Chiese o una revisione degli statuti e quello si potrà vedere solo finita la guerra, per capire quali territori sono sotto controllo e quali no, perché tutta la parte del Donbass e della Crimea sono sotto Mosca.
Torni per favore sullo stretto rapporto tra Chiesa e Stato.
C’è da sempre un legame tra Chiesa e Stato per cui lo statuto della Chiesa all’interno dello Stato lo decide il Governo. E questo vale per la Russia come per l’Ucraina, tanto è vero che l’autocefalia di chi è legato a Costantinopoli era stata un’iniziativa presa dal presidente Porosenko, predecessore di Zelensky. Quest’ultimo è meno direttamente coinvolto: è ebreo, più laico, ma in questa fase di guerra deve prendere in mano anche la situazione della Chiesa. Finora ha lasciato fare molto, o meglio aveva lasciato fare anche prima della guerra, adesso deve fare anche lui così.
Quindi ci sono due Chiese: una autocefala, l’altra che giuridicamente non c’entra più con il Patriarcato di Mosca anche se di fatto qualcuno ha ancora rapporti stretti con i russi?
La seconda è numericamente il doppio della prima, siamo 12mila parrocchie a 6mila, anche se le 12mila di Mosca sono state create un po’ artificiosamente negli ultimi anni per gonfiare la struttura. Poi bisogna ricordare che ci sono anche 3mila parrocchie dei greco-cattolici, della stessa tradizione degli ortodossi, e non sarebbero contrari a riunirsi anche loro con la Chiesa ortodossa, pur essendo cattolici, se ci fosse una scelta comune, di tutti, di fare un’unica Chiesa che sia in comunione con Roma e anche con Costantinopoli. E in futuro anche con Mosca se le cose cambieranno. Questa è la vocazione originaria, storicamente, della Chiesa ucraina, di essere indipendente ma in comunione con tutti.
I provvedimenti del Governo avranno anche un grosso impatto sui fedeli? Possono rischiare di diventare un boomerang?
Da una parte molti li sostengono, dall’altra ci sono i contrari. Diciamo che è un modo per fare chiarezza: le Grotte di Kiev sono un luogo simbolico dell’origine della Chiesa.
Lo sfratto dichiarato dal Governo comunque riguarda tutte le Grotte?
Riguarderebbe tutta la struttura delle Grotte di Kiev, però poi il vero obiettivo sono i dirigenti, a partire dal metropolita Pavel, più che i singoli monaci. Ci sono anche altri monasteri che sono passati di giurisdizione dal Patriarcato di Mosca alla Chiesa autocefala, a quella greco-cattolica in varie epoche antiche e recenti: è una discussione che riguarda tante strutture in Ucraina.
Nella Chiesa ucraina qual è la posizione che prevale rispetto a Mosca?
Alcuni sono chiaramente a favore di Mosca, altri chiaramente contro, molti sono neutrali e quindi vanno valutati caso per caso. Il metropolita capo della Chiesa, Onufrij, non viene toccato perché tutti sanno che è una persona estremamente equilibrata. Sin da quando c’è stata l’invasione nel febbraio 2022 ha subito detto che lui era contrario. A maggio ha presieduto il sinodo in cui è stato detto “Non abbiamo più niente a che fare con Mosca”, anche se nello statuto c’è ancora scritto che sono membri del Patriarcato moscovita. Verranno sollecitati ad avere uno statuto più chiaro.
Con l’ultimo provvedimento il Governo vuole prendere di mira solo la dirigenza del Monastero di Kiev?
Quella del Santuario e di conseguenza altri vescovi e sacerdoti che pendono più dalla parte di Mosca, a Kiev e in tutta l’Ucraina. Questa è la storia dell’Ucraina: le discussioni fra le giurisdizioni ecclesiastiche sono in corso dal 1400, non è una cosa nuova.
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