L’evidenza più immediata è la difficoltà di conciliazione tra affitti turistici e fabbisogni abitativi, con i primi che negli ultimi anni hanno soffocato i secondi, creando disuguaglianze, tensioni, spopolamento dei centri storici. Non è un problema solo italiano: molte amministrazioni comunali europee già da anni hanno introdotto limiti all’esplosione delle locazioni brevi.
È successo ad esempio a Londra, Parigi, Barcellona, Amsterdam, dove sono stati adottati argini per salvaguardare i residenti, come le licenze agganciate al numero di abitanti o di alloggi, tentando anche di limitare l’attività dei veri e propri imprenditori che possiedono o comunque gestiscono centinaia di case per affitti brevi. In Italia il mercato delle locazioni turistiche non segue una programmazione, né una politica abitativa o socio-economica, o urbanistica. Si è semplicemente introdotta una cedolare secca del 21% per affitti sotto i 30 giorni e l’obbligo di esercizio di attività d’impresa per chi affitta più di quattro alloggi. Annunciata, ma ancora non operativa, una banca dati dedicata.
Eppure, pre-pandemia nei centri storici dei maggiori capoluoghi italiani (soprattutto Roma, Venezia, Firenze, Napoli, Bologna) le case proposte sulla maggiore piattaforma online, Airbnb, andavano dall’11% al 32% sul totale, percentuali alle quali vanno aggiunte quelle realizzate da altri siti di intermediazione. Un trend che non s’è fermato (basti pensare che 120 giorni in affitto breve realizzano l’incasso di 360 giorni di locazione ordinaria, secondo Nomisma), tanto da spingere all’angolo le locazioni ordinarie, già in calo per loro conto, mentre la domanda al contrario aumenta. Da qui le tensioni e le disuguaglianze che si dicevano, e non solo tra residenti e locatori, ma anche tra host e vari imprenditori dell’ospitalità (gli albergatori), che lamentano regimi fiscali e normative ben più resitringenti rispetto agli altri.
Urgono correttivi. A Milano sarebbero circa 15 mila gli alloggi in affitti turistici. Tanti, pochi? Decisamente troppi, specie in una metropoli dove la casa è un bene prezioso, dove il costo a metroquadrato raggiunge vette assurde, dove trovare un alloggio in affitto è una vera mission impossible. Adesso il Comune ha avanzato una richiesta di autorizzazione al Governo, necessaria per poter varare nuove norme per arginare il fenomeno. Il modello d’ispirazione è quello di Venezia, a oggi unica città in Italia ad aver ottenuto il via libera sul contingentamento delle locazioni turistiche, un semaforo verde (l’oramai famoso “emendamento Pellicani”, dal nome del deputato Pd che lo ha presentato) che però ancora non ha visto alcuna messa a terra.
A Venezia il problema è macroscopico: la città è scesa sotto i 50 mila abitanti e la casa, secondo l’osservatorio “Ocio”, è il primo motivo di emigrazione. Qui il 70% degli acquirenti di immobili è straniero e il 75% degli acquisti è per investimento. Il semaforo offre al Comune di Venezia uno strumento normativo, garantito da una legge nazionale, per favorire l’incremento dell’offerta di alloggi in locazione per uso residenziale, dando facoltà (non l’obbligo) al Comune di integrare i propri strumenti urbanistici con regole per individuare i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve, tenendo anche conto della funzione di integrazione al reddito della locazione breve per chi gestisce una sola unità. La norma stabilisce anche che il Comune possa subordinare lo svolgimento dell’attività di locazione breve per oltre 120 giorni, anche non consecutivi, di ogni anno solare, al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile: oltre i 120 giorni diventerà un’attività imprenditoriale.
Da quell’emendamento, che a Venezia resta ancora un semilavorato, sta nascendo una nuova proposta di legge nazionale (dal gruppo Alta Tensione Abitativa) per garantire una sopravvivenza, un equilibrio tra residenti e turisti. La proposta è stata illustrata recentemente in un convegno all’Istituto Veneto (presenti le rappresentanze di Bergamo, Bologna, Milano, Napoli, Padova), dove sono state chiarite le tre varianti rispetto all’emendamento originale elaborate per rendere la norma fruibile in tutte le città italiane. Si tratta della percentuale di posti letto residenziali e turistici, nella versione veneziana indicata, e adesso tolta. La seconda modifica riguarda la possibilità dei Comuni di raccogliere più dati sul rapporto tra turismo e residenti. La terza consente alle Regioni non ancora attrezzate con norme specifiche di inserire l’extra alberghiero nel calcolo della soglia di immobili da destinare ai turisti.
Si vedrà se le norme riusciranno ad essere recepite ed estese a tutto il territorio nazionale. Nel frattempo, anche gli host non restano a guardare. A Napoli, ad esempio, l’Abbac (associazione bed & breakfast affittacamere case) si è appellata al Governatore De Luca per contestare una sentenza del Tar, annunciare un ricorso al Consiglio di Stato, e perché “si termini la lunga fase attendista della Regione e si approvi urgentemente un emendamento alla legge regionale 17/2001 per istituire le locazioni turistiche”. È successo che il Tar Campania-Napoli, respingendo il ricorso di una sublocatrice che offriva in locazione un appartamento per periodi inferiori a 30 giorni, ha confermato il “divieto di prosecuzione dell’attività abusiva di casa vacanze” per mancata presentazione della Scia. Secondo il Tar Campania, chiunque concluda contratti di locazione breve per finalità turistica (con continuità) deve necessariamente avviare un’attività ricettiva riconducibile alla Cav, Centrale per la riqualificazione, quanto risultante dai siti web. Evidente che si tratta di un far west dove sarebbe necessario intervenire con nuove regole, più eque e più ecumeniche.
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