COME È ANDATA LA DUE GIORNI DI VERTICE TRA PUTIN E XI JINPING
Si è conclusa a Mosca la due giorni di visita ufficiale del Presidente della Cina Xi Jinping dall’omologo russo Vladimir Putin: se il mondo si aspettava una tregua immediata per la guerra in Ucraina ecco che il summit del Cremlino avrà molto deluso in tal senso. Diversamente, da oggi è più chiaro che in un’ipotetica “terza guerra mondiale” alle porte l’asse Russia-Cina è sì più saldo ma non per questo “blindato”. Se fino a qualche anno fa i rapporti non sempre idilliaci tra l’ex URSS e l’Impero comunista vedevano Mosca con il ruolo di “dominus”, ecco che da ieri si è plasticamente assistito ad un cambio radicale di leadership: il «caro vecchio amico» Xi, come è stato definito il Presidente dal leader russo, ha in mano molto dell’economia e degli scambi commerciali del futuro della Russia.
Pechino appoggia Mosca in tutto ma senza sbilanciarsi troppo: il che significa una pessima notizia per l’Occidente in quanto al momento di “tregua” non se ne parla – anche per il “no” bello grosso imposto dagli Stati Uniti all’Ucraina davanti al piano di pace presentato da Xi Jinping. Ma non è una notizia ottima nemmeno per Putin in quanto Xi lo sostiene ma ha richiamato i criteri dell’ONU per la pacificazione con la “crisi Ucraina”: il che significa che non ci dovrà essere secondo Pechino un nuovo avanzamento delle truppe russe in Ucraina, con dunque il Donbass non pienamente conquistato. Gli accordi firmati, al netto delle parole di “miele” dette dai leader vicendevolmente, vedono uno sbilanciamento sempre più forte a favore della Cina (la cui economia ad oggi vale almeno 10 volte tanto quella della ex Unione Sovietica). «Le relazioni fra i due paesi, pur non costituendo un’alleanza militare e politica simile a quelle istituite durante la Guerra Fredda, sono superiori alle normali cooperazioni internazionali. Non costituiscono un blocco, non hanno natura di opposizione ad altri e non sono dirette contro paesi terzi», si legge nel documento finale siglato da Putin e Xi Jinping. Entrambi accusatori degli Usa per un ruolo internazionale che rischia di provocare la guerra nucleare, le due superpotenze ieri hanno rinsaldato l’alleanza ma d’ora in avanti per le questioni importanti – tregua di guerra, armamenti, economia – con ogni probabilità Putin dovrà “attendere” l’intervento di Xi. Se questo è un bene o un male per la comunità internazionale dovremo capirlo nei prossimi mesi/anni.
GUERRA IN UCRAINA, IL PIANO DI PACE DELLA CINA: COSA C’È (E COSA NON TORNA)
Nel frattempo Putin ha confermato che il piano di pace presentato dalla Cina in 12 punti sostanziali è un ottimo punto di partenza per elaborare i negoziati sulla crisi in Ucraina: «rispettare la sovranità di tutti gli stati», «porre fine alle ostilità» e «riprendere i negoziati di pace», questi i tre punti chiave del piano accettato dal Cremlino e riproposto da Pechino. «Per quanto riguarda il poter regolare la crisi ucraina, noi cerchiamo di utilizzare i principi dello Statuto dell’Onu, la nostra posizione vuole contribuire al processo delle trattative, la nostra posizione è basata sulla verità e la sostanza, noi siamo per la pace e il dialogo, siamo fedeli alla storia», ha detto ieri in conferenza stampa congiunta il Presidente comunista. Da Kiev si attende ora la mossa di Xi che potrebbe però non avvenire a stretto giro: le dinamiche internazionali sono ancora “bloccate” per lo scontro a distanza sempre più ampio tra Usa e Russia e occorrerà capire in che modo agire per evitare l’escalation nucleare. Ecco qui di seguito riassunti i 12 punti del piano di pace:
1- rispetto di sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti i Paesi
2- stop mentalità Guerra Fredda
3- Cessate il fuoco e stop combattimenti, sostenere incontri Russia-Ucraina
4- negoziati sono «l’unica via d’uscita praticabile»
5- protezione civili e creazione corridoi umanitari per evacuazione da zone di guerra
6- «rispettare rigorosamente il diritto umanitario internazionale»
7- mantenimento sicurezza centrali nucleari
8- rigetto delle armi nucleari
9- garanzie export cereali
10- stop sanzioni unilaterali
11. «stabilità delle filiere industriali e di approvvigionamento»
12- ricostruzione post-bellica
Al netto di questi punti, già rigettati dagli Stati Uniti e dalla NATO (ma non ancora da Kiev che prima vuole parlare con Xi Jinping, ndr), resta molto di non risolto all’interno del complesso negoziato ancora tutto da impostare: «cessate il fuoco ora consentirebbe alla Russia di riorganizzare le truppe», hanno spiegato ieri dalla Casa Bianca. La Cina per gli Stati Uniti non è un partner neutrale della vicenda anche se resta l’apprezzamento per «elementi che abbiamo sostenuto a lungo, tra cui garantire la sicurezza nucleare, risolvere la crisi umanitaria, proteggere i civili e, in effetti, il primo elemento chiede di sostenere la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i Paesi», come ha detto il Segretario di Stato Usa Blinken commentando (e bocciando) il piano di pace cinese. Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino (che ha lavorato al Cremlino nella fase del presidente Medvedev) spiega oggi al “Resto del Carlino” che il colloquio Putin-Xi è stato un «gioco tra le parti»: «è difficile che la Cina assuma una posizione più equidistante. Perché «Pechino non ha un interesse strategico. E poi Kiev e Mosca sono chilometri lontane una dall’altra su quel che ognuna vede come un accettabile piattaforma di dialogo». Le parti si confronteranno sul campo, dove entrambe pensano di poter prevalere, ma – conclude l’osservatore e analista – «lo spazio per un dialogo si presenterà non prima del prossimo autunno. Sino ad allora la Cina reciterà la sua parte, dirà ’abbiamo presentato un nostro piano, abbiamo parlato con Putin e su Zelensky, abbiamo fatto il nostro meglio’. Manterrà un simulacro di trattativa. Dopo l’autunno, se ci sarà ancora una situazione di stasi, vedremo».