Beppe Saronni torna a parlare delle sfide con il suo acerrimo rivale in bicicletta, Francesco Moser. I due si sono sempre punzecchiati e mai sopportati, e questo “astio” traspare ancora oggi a 40 anni di distanza dalle lotte sulle strade: «Lui – racconta il 65enne oggi ai microfoni del Corriere della Sera – evoca sempre il confronto tra un montanaro trentino con dieci fratelli che zappava la terra e un borghese di Milano. Peccato che io sia cresciuto a Buscate, nella campagna lombarda. Papà Romano era autista di bus di linea, mamma Giuseppina casalinga: eravamo quattro fratelli, si campava con un solo stipendio». Beppe Saronni, come molti altri suoi colleghi, è stato un vero e proprio talento delle due ruote: «Tra i 13 e i 17 anni ho vinto quasi 150 corse, tra pista strada e cross. I premi erano tubolari, pantaloncini di lana o caschetti di cuoio. Preziosi perché si usuravano facilmente. Grazie ai premi non dovevo chiedere ai miei genitori i soldi per comprarli. Dopo l’oro agli Europei di velocità, ho partecipato alle Olimpiadi di Montreal. A 19 anni, nel 1977, mi hanno autorizzato a passare direttamente professionista: era rarissimo».
Quindi Giuseppe Saronni ha risposto ad una domanda diretta del giornalista: «Perchè Moser mi odia? Ho sei anni meno di lui, sono arrivato nel professionismo quando Francesco era un Dio acclamato dalle folle e dai giornalisti. Il ciclismo era lui. Ho cominciato a batterlo presto e in più avevo la battuta pronta e la lingua affilata, al contrario di Moser, goffo e lento nell’esprimersi. Nel confronto televisivo perdeva sempre e non gli è mai andato giù. Dovrebbe farsene una ragione».
BEPPE SARONNI E FRANCESCO MOSER: “LA FAMOSA SUA SECONDA GIOVINEZZA”
Secondo Moser, Beppe Saronni avrebbe avuto solo 3 o 4 anni di grande carriera: «A dire il vero io ho vinto venti corse l’anno per sei stagioni di fila – ha replicato il ciclista 65enne – non tre o quattro. E preferirei non parlare della famosa seconda giovinezza di Moser…». Ma Saronni, incalzato dal giornalista del Corriere della Sera, si scioglie: «A fine carriera Francesco è stato il primo e in quel momento l’unico a far ricorso a una certa scienza, di cui disponeva in modo esclusivo. La bici con cui ha battuto il Record dell’Ora era un siluro che pochi anni dopo venne vietato perché dava vantaggi enormi. Per tacere del resto».
E ancora: «Ha sfruttato certe metodologie (all’epoca erano comunque consentite ndr) che il famoso professor Conconi offriva solo a lui: io e gli altri i suoi vantaggi li abbiamo subiti. Nel 1983 quando vinsi il Giro mi disse che era troppo vecchio e si sarebbe ritirato. Poi ha accettato il progetto del Record con innovazioni che non si sono rivelate sempre positive. Sulla base di alcune di quelle innovazioni il ciclismo negli anni successivi ha avuto un sacco di problemi. Ma lui non aveva nulla da perdere e le ha sfruttate quando erano legali». In ogni caso i due si sentono spesso e volentieri: «Spesso. Parla sempre solo lui, però: quando parte con i suoi discorsi è difficile interromperlo e comunque rischieremmo di litigare. Ci vediamo alle cerimonie e io compro regolarmente il suo vino che è davvero buono. Non guardo mai le fatture, ma non credo mi faccia sconti nemmeno lì».