Open Arms mentì pur di incastrare Matteo Salvini? È quanto emerge dal processo che vede imputato a Palermo il vicepremier, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno, a cui vengono contestati i reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, per aver fermato nel 2019 lo sbarco in Italia dei migranti che la Ong aveva accolto. La svolta è arrivata dalle testimonianze di Renato Megazzù e Dario Megna, consulenti dell’accusa. I due esperti, secondo quanto riferito da fonti vicine a Salvini citate da Libero, hanno chiarito che il barcone di migranti non stava imbarcando acqua, mentre la nave dell’organizzazione via mail denunciava proprio il contrario, e lo stesso veniva pure scritto sul diario di bordo. Si tratta di un dato rilevante, perché sarebbe stata configurata da Open Arms un’emergenza che in realtà non c’era. Invece, dalla testimonianza del capitano di corvetta Stefano Oliva, comandante del sommergibile che intercettò la Open Arms, la seguì e monitorò per 17 ore, si evince che si erano «imbattuti casualmente» sulla nave Ong.
«Non ci era mai stata segnalata prima della notte del 1 agosto. L’abbiamo segnalata alla nostra centrale operativa sommergibili». La seguirono per 50 miglia, poi la Open Arms cambiò rotta e aumentò la velocità. La nave dell’Ong era più veloce del sommergibile, infatti quest’ultimo arrivò sul luogo del soccorso «quando erano già iniziate le operazioni di trasbordo dei migranti». Il fatto che Open Arms dal pattugliamento a 4 nodi improvvisamente si dirigeva verso Ovest a velocità sostenuta non tornava a Stefano Oliva. «Siamo andati a investigare questo comportamento e a cosa fosse dovuto. Abbiamo fatto riprese fotografiche video e audio con il telescopio e antenna di comunicazione». Il sottomarino ha captato la comunicazione in lingua spagnola e l’ha inviata alla centrale operativa senza analizzarla.
PROCESSO OPEN ARMS: “SALVATAGGIO NON CASUALE…”
Sulla presenza del sommergibile, tra l’altro, Open Arms ha presentato un esposto per omissione di soccorso. Ma il comandante Stefano Oliva riguardo il mancato intervento ha spiegato: «Un sottomarino non è un mezzo idoneo per fare questi soccorsi, in condizioni di necessità indifferibile, il sottomarino deve riferire alla centrale per effettuare un soccorso. Se c’è gente in acqua può emergere e dare i gonfiabili». Per quanto concerne, invece, il salvataggio di Open Arms, la nave dell’Ong «si è avvicinata e ha messo la scaletta e fatto salire tutti a bordo dal barcone al gommone e poi dai gommoni alla nave. E prima di fare questo salvataggio hanno consegnato i giubbotti salvagente». Stando a quanto riportato da Libero, gli elementi raccolti dal sottomarino, insieme ad altro materiale che comprende le chiamate di Alarm Phone e rilevamenti aerei, sono stati oggetto di una perizia della difesa di Matteo Salvini, svolta da due consulenti, gli ex ufficiali della Marina militare Maurizio Palmesi e Massimo Finelli.
Tale perizia sostiene la tesi che quello di Open Arms non sia stato un salvataggio casuale, ma un’iniziativa di supporto agli scafisti, a maggior ragione tenendo conto del fatto che il barchino di migranti non era realmente in pericolo. Al termine dell’udienza, l’avvocato Giulia Bongiorno, legale di Matteo Salvini, ha definito «assolutamente decisivo» l’intervento di queste testimonianze che hanno evidenziato come «Open Arms in realtà non si è imbattuta occasionalmente nella piccola imbarcazione coi migranti». Infatti, è emerso che «ha avuto delle indicazioni ben precise dove avrebbe potuto individuare». Tutto ciò viene considerato importante dalla difesa di Salvini, in quanto «dimostra la legittimità del provvedimento di divieto emesso sulla base delle anomalie». Uscendo dall’aula bunker dell’Ucciardone, il leader della Lega ha commentato: «Mi sembra che stia emergendo tutto con estrema chiarezza».