Ma quanto può ancora durare la tragica situazione dell’Ucraina di fronte all’invasione russa? Sta arrivando la primavera anche da quelle parti e quindi quello che ci si può attendere sembra solo un intensificarsi delle operazioni militari da una parte e dell’altra. Quindi una recrudescenza su un campo bellico che sembra una scommessa da brividi alla schiena e che lascia aperti scenari da paura.
Si guarda con sgomento alla sequenza che dura da oltre un anno, dopo la criminale invasione decisa da Vladimir Putin il 24 febbraio 2022, dopo un conflitto che sembrava quasi marginale (anche se gli effetti erano già tragici) fin dal 2014. Ricostruire i passaggi dal conflitto per la Crimea e il Donbass fino alla dichiarazione della “conquista di Kiev” nel giro di pochi giorni è un problema talmente complicato che sembra al momento impossibile.
Forse bisognerebbe concentrasi su quel tempo intercorso tra il 2014 e i nostri giorni per osservare attentamente come la nuova “geografia politica”, che si cercava di delineare all’ombra di una globalizzazione fallimentare, stava sfociando in quella che oggi viene chiamata la “Guerra grande”. Ma probabilmente anche questo non basterebbe.
Andiamo con ordine. Putin, con l’invasione di un anno fa, viola uno dei principi cardine del diritto internazionale e della convivenza tra i popoli. Anche se si possono contare diversi precedenti tra le operazioni fatte da tanti “imperi” protagonisti del passato. Tutte queste violazioni hanno sempre nascosto, solo parzialmente, uno volontà di imporre un nuovo ordine mondiale, un nuovo schema di carattere geopolitico internazionale.
Di fronte a una simile aggressione, a una invasione di questo tipo, la risposta della civiltà democratica (se non ha imboccato una decadenza irreversibile) può solo ribellarsi di fronte all’aggressore e aiutare in tutti i modi l’aggredito, il Paese invaso che rivendica il suo diritto di esistenza autonoma e indipendente.
Di fronte a questo fatto, tutti i discorsi sull’invio di armi e di aiuti sembrano quasi avere poco senso e addirittura, ci azzardiamo a dire, appaiono quasi un diversivo rispetto a quella che, dopo un anno, è appunto diventata la “Guerra grande”, che rischia anche di sfociare in un disastro atomico in grado di cancellare non solo la civiltà, ma la stessa convivenza umana e la stessa umanità che vive su questo pianeta.
Ma se si supera la cronaca tragica e si guarda alle profonde cause del disastro che stiamo vivendo, si possono intravvedere tre cosiddetti “imperi” che sono sull’orlo di una crisi che non solo non riesce più a prevalere ma neppure a determinare la convivenza, pacifica o dettata dalla deterrenza, e soprattutto lo sviluppo planetario.
La caduta del Muro di Berlino (fatto che fu ovviamente positivo) ha segnato la data delle speranze, ma contemporaneamente delle illusioni e degli errori commessi con una leggerezza incredibile.
Sì, il comunismo era fallito, era stato sconfitto, l’impero sovietico si è dovuto necessariamente ridimensionare e ha perduto subito la ragione ideologica di fondo che lo cementava agli occhi non solo del suo popolo, ma anche della sua forza esterna di attrazione per diversi popoli, persino come presenza nei parlamenti di tanti Paesi democratici. Questa sconfitta sofferta all’interno e sul piano internazionale è diventata quasi un’ossessione. Un impero fallito cerca di sopravvivere, se non ci riesce alla fine cerca solo di ribellarsi, perde la testa, non riconosce più la realtà e diventa aggressivo, pericoloso nella sua lenta agonia.
Ma anche gli Stati Uniti, dopo la Caduta del Muro di Berlino, sembrano aver perso la testa e si sono illusi probabilmente di diventare la guida di una globalizzazione a “stelle e strisce”, nel nome del “mercato” e della finanza senza regole, dell’esportazione della democrazia come fosse “merce” da supermercato, persino della “fine della storia”.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, gli Stati Uniti cominciano a entrare in una fase dove arrivano a interrogarsi su chi sono veramente in questo momento storico e comprendono che la globalizzazione immaginata e diretta è solo un’illusione. Dall’America che sconfigge la grande crisi del 1929, dall’America del presidente Roosevelt si passa a un istrione come Donald Trump, il simbolo di una crisi.
C’è un terzo protagonista nello scenario mondiale che oggi riflette sulla sua identità, mutata profondamente nei secoli, ma sempre ancorata al concetto di “impero di mezzo”: la Cina, oggi la grande Cina di Xi Jinping, che ha saputo trasformarsi dalla patria della “banda dei quattro” alla grande realtà che diffida dei sovietici e negli anni Settanta si accorda con gli Stati Uniti di Nixon e Kissinger, passa poi per la violenza di piazza Tienanmen ma si ricicla in un “impero rinnovato”, basato su una anomalia che racchiude confucianesimo, comunismo e capitalismo, fino a entrare nel Wto nel 2003 e ad aver bisogno dei grandi scambi internazionali, con l’ossessione di essere sempre un “impero”, spesso assalito, ma mai morto e soprattutto mai dimenticato nella testa dei suoi diversi governanti.
Anche la Cina ha oggi, nell’epoca del fallimento della globalizzazione, i suoi problemi e le nuove difficoltà sulle sue “vie della seta”. In più, nell’Indo-Pacifico non esiste solo il problema di Taiwan che Zhou Enlai e Kissinger risolsero con un escamotage da fuoriclasse: esiste oggi un confronto, anche militare, che riguarda il futuro del commercio mondiale e l’egemonia geopolitica in quell’area che poi condiziona una parte del mondo.
Anche la Cina, che pure sembra forte, soffre di una crisi di identità e si aggiunge alla triade di Paesi in cerca di una identità per il futuro.
Il resto del mondo, Europa compresa, malgrado la sua tradizione, non partecipa in prima persona a questo “grande gioco a tre”. E purtroppo, tra i tanti protagonismi di aiuti all’Ucraina, nulla può inevitabilmente frenare il “grande gioco” di tre grandi imperi in crisi contemporaneamente, un fatto mai capitato nella storia del mondo.
Il vero dramma dell’Ucraina a questo punto è quello di una parte tragica di questo gioco spregiudicato, dove non si vede più la forza di una grande diplomazia ma piuttosto una pericolosa partita a poker dove si continua a bluffare per alzare una posta che, per ora, ha portato a quella che ormai è una guerra che può sfociare in una terza guerra mondiale a colpi di bombe atomiche. Una scommessa da brividi.
Inoltre, una considerazione. L’Ucraina può diventare un pretesto destabilizzato e martoriato di un gioco di tre imperi in crisi e alla ricerca di se stessi?
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