Quell’euro-compromesso verde

Alla fine l'Ue ha trovato un accordo con la Germania sullo stop alle auto a benzina dal 2035, ma lo scacchiere politico europeo appare molto fluido

Non vi sono dubbi che, sul piano tattico, l’Italia abbia visto negare al tavolo dell’ultimo Consiglio Ue la sua istanza sui bio-carburanti. Però sarebbe un errore farne l’unica o più importante notizia di un summit europeo più complesso e interlocutorio di quanto si sia affannato a twittare il Vicepresidente Frans Timmermans. È stato quest’ultimo, il socialista olandese delegato più alto del fronte “rosso-verde” nella Commissione guidata dalla popolare tedesca Ursula von der Leyen, ad annunciare il compromesso con la Germania, ufficialmente utile a confermare il 2035 come scadenza per il passaggio integrale dell’Ue alla mobilità elettrica. Ma già questi due fatti – la comunicazione “ai supplementari” nel weekend e non da parte di von der Leyen – segnalano quanto “compromissoria” sia stata un’intesa che verrà formalizzata da un’inusuale “nota a verbale” nella deliberazione. Che sembra mantenere un carattere sostanziale di tappa (ancora iniziale) di un cammino lungo: in cui ragioni della politica e dell’economia s’intrecciano.

Per un euro-ministro socialista olandese (all’opposizione a L’Aja) che si affanna a blindare la transizione verde in Europa vi sono centinaia di migliaia di elettori olandesi che – appena tre settimane fa – si sono clamorosamente rivoltati contro tutti i partiti tradizionali nel Paese, per la loro insistenza sulla rottamazione di 25mila aziende agricole e zootecniche in omaggio agli obiettivi 2030 sulle bio-emissioni. Per chi voteranno gli agricoltori olandesi al rinnovo del Parlamento Ue fra un anno? Chi guiderà la Commissione di Bruxelles in un’Ue che – per la prima volta – potrebbe essere governata (anche) da una “maggioranza” politica?

Lo stop-and-go della Germania – altro passaggio abbastanza inedito negli annali Ue – è stato motivato principalmente da ragioni politiche interne: peraltro molto radicate nella crisi energetica che sta facendo da baricentro – in Europa – alla crisi geopolitica. Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz – socialdemocratico – aveva inizialmente messo sul tavolo un differimento della decisione finale sul 2035. Le spinte erano state due (e lo restano anche oggi): la storica resistenza della potente industria dell’auto (di cui l’Italia è grande fornitrice di componenti) e le incertezze portate dalla nuova “Guerra fredda”,  che sta mettendo sotto pressione i bilanci energetici di famiglie e imprese. Scholz e più di lui i partner di governo liberaldemocratici tutto vogliono in Germania fuorché un ritorno di fiamma di “gilet verdi”, con alto rischio di contagio con i “gilet neri” xenofobi e neonazisti. Ma al di là del colpo di freno e del successivo compromesso per ora Scholz non è potuto andare: i Verdi minacciavano di lasciare la coalizione di Berlino. Le elezioni tedesche si sono tenute nell’autunno 2021: come voteranno nel maggio 2024 gli elettori della “locomotiva” europea?

La Francia non è da meno nel portare instabilità a un tavolo Ue sempre più diviso (i Paesi dell’Est continuano a non essere favorevoli alla conferma dell’obiettivo 2035, deciso prima di pandemia e guerra russo-ucraina). C’è l’agitazione politico-sindacale sulla riforma delle pensioni, vissuta da milioni di francesi come una prosecuzione dell’austerity inizialmente imposta dal Presidente Emmanuel Macron a colpi di tasse sui carburanti fossili. Ma Parigi è da tempo origine di un’altra dinamica politico-economica di fatto in conflitto con il mantra Ue della transizione verde “tutta e subito”. La Francia – unica vera potenza nucleare europea (sia civile che militare) – vuole che i reattori di nuova generazione siano inclusi fra le fonti di energia pulita riconosciuti da Bruxelles. E su questo teatro la guerra russo-ucraina gioca a favore di Macron: che ha un disperato bisogno di un forte colpo di reni in avanti per uscire dall’impasse politica interna.

La Francia candidata fornitrice di nucleare “non extra-Ue, sicuro ed economico” è d’altronde governata da una (malferma) maggioranza centrista imperniata su En Marche!, un partito che in Europa è parte del raggruppamento liberale. Quest’ultimo sarà prevedibilmente ago della bilancia fra un “centrodestra” in cantiere (Ppe e Ecr, formato dalle destre di governo in Italia e Polonia) e un più perimetrato “centrosinistra” (Pse e Verdi) nel determinare i futuri orientamenti delle politiche Ue. Su ogni tavolo: parametri finanziari, energia, difesa.

Gli europeisti ortodossi non hanno torto di ricordare che l’Ue odierna (quella del Trattato di Maastricht) è nata da un “compromesso storico” fra la Francia del socialista François Mitterrand e la Germania del popolare Helmut Kohl: l’adesione del marco all’euro in cambio della riunificazione tedesca.

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