A Roma si annuncia una Pasqua da tutto esaurito: è previsto l’assalto di 450 mila turisti, più del doppio rispetto all’anno scorso. Ma anche molte altre destinazioni stanno rapidamente saturando le disponibilità. Con gli operatori già sull’orlo di una crisi di nervi: solo nella capitale (che comunque conta ancora 80 strutture chiuse dall’inizio della pandemia) si annunciano 15 mila posti vacanti tra il personale dell’horeca. Mancano addetti di tutti i generi, dai receptionist ai camerieri, ma mancano anche baristi, cuochi e via dicendo.
Il problema, ormai, è ben noto da anni, ma con la forte ripresa del turismo si sta facendo sempre più pressante. Si cerca di sopperire, con turni prolungati e straordinari, strumenti non sempre accettati dal personale e comunque solo palliativi che non risolvono alcunché. Tra l’altro, parecchi dipendenti sono ancora in regime Naspi, quindi “coperti” e non disponibili. Come si era già scritto su queste pagine, le soluzioni radicali sarebbero solo quelle legate alla limatura del cuneo fiscale, che consentisse ai datori di elargire retribuzioni più accattivanti. Le rappresentanze stanno anche proponendo un nuovo contratto per questo tipo di personale, con la detassazione degli straordinari dei giorni festivi. Più complicato rispondere alle tendenze dei nuovi stili di vita ambìti soprattutto dai giovani: un lavoro spalmato su 5 giorni a settimana, con almeno un giorno libero nel weekend.
A questo proposito, il ministro al Turismo Daniela Santanchè afferma che “nel turismo c’è una grande possibilità di occupazione, ma per i giovani lavorare il sabato o la domenica è faticoso, sono più attenti alla qualità della vita e al tempo libero. Noi stiamo pensando, e credo che li metteremo a terra nei prossimi 15 giorni, ad incentivi affinché chi lavora nelle festività guadagni nettamente di più rispetto ai giorni normali”.
In realtà, non sembra una grande novità: le norme già vigenti indicano che nei giorni riconosciuti come festività, o anche per le feste del Santo patrono del Comune in cui si svolge l’attività lavorativa, il dipendente può decidere di astenersi dal lavoro (se non previsto un obbligo nei contratti sottoscritti) mantenendo il diritto alla retribuzione: sono giornate in cui il dipendente può scegliere se lavorare (percependo però una retribuzione maggiorata) oppure no (con il giorno di riposo che viene considerato in busta paga come se fosse stato lavorato). Un esempio. Secondo il Ccnl per il comparto legno-arredamento-industria, il lavoro festivo (anche a turni avvicendati, compreso il ciclo continuo) compiuto nelle domeniche, nei giorni di riposo compensativo o nelle festività, ha diritto a una maggiorazione pari al 40% per operai e intermedi, elevata al 50% per gli impiegati. Con il Ccnl del turismo, invece, è prevista una maggiorazione solo del 20%.
Si ritorna così al nocciolo del problema: “Nel turismo ci sono paghe da fame, salari bassi, contratti dai 3 ai 6 mesi – ha dichiarato Paolo Andreani, segretario generale Uiltucs -. Si tratta di un lavoro povero, 6 su 10 guadagnano meno di 11 mila euro all’anno, combattendo con la discontinuità lavorativa e le paghe troppo basse, meno di un Reddito di cittadinanza per un lavoro faticoso”. E si ritorna anche a rivolgersi ai lavoratori stranieri. Il click day per l’ingresso in Italia di lavoratori extracomunitari, previsto dal decreto flussi, l’altro giorno ha aperto a 82.705 ingressi (ma il sistema informatico è andato presto in overbooking), a fronte di oltre 240 mila domande degli aspiranti datori di lavoro giunte al Viminale. Le quote riguardano anche il turismo, ma soprattutto l’agricoltura. “Nelle campagne con l’arrivo della primavera c’è bisogno di almeno 100 mila lavoratori per colmare la mancanza di manodopera che ha duramente colpito le campagne lo scorso anno con la perdita rilevante dei raccolti – afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini -. C’è bisogno di un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge”. Sembra, insomma, che alle imprese italiane servirebbe almeno il triplo di lavoratori extracomunitari autorizzati, che non vuol dire certificare automaticamente quelli che sopravvivono alle traversate organizzate dagli scafisti, che quasi sempre, tra l’altro, vedono l’Italia solo come un transito.
“Il paradosso – dice Marina Lalli, presidente di Federturismo – è che nonostante nel 2022 la domanda di lavoro nel settore sia aumentata del 15,4%, mancano le figure adatte a ricoprire i ruoli vacanti, con la prospettiva che nei prossimi 5 anni quasi un quarto dei posti di lavoro resterà scoperto. A differenza di quanto si possa pensare, il divario non riguarda solo le figure di alto profilo. Alla questione personale se ne affianca un’altra, se possibile ancor più decisiva nel rilancio del settore: l’aggiornamento delle competenze degli operatori. Il mismatch fra domanda e offerta di lavoro è un tema che nel nostro Paese è ormai diventato un’emergenza. Il mondo della formazione registra purtroppo una grave carenza strutturale di risorse umane e l’Università, salvo poche eccezioni, non è allineata alle esigenze del mondo produttivo. Per la ricerca di alcuni profili i tempi si sono dilatati raggiungendo talvolta anche l’anno e determinando conseguenze pesanti sull’erogazione dei servizi e sui bilanci delle imprese che spesso si trovano costrette a prendere i candidati e a formarli in azienda, con costi notevoli, a loro carico. Uno dei nodi cruciali è proprio lo scarso raccordo istruzione e occupazione. Di qui il timore, lanciato a più riprese anche da Confindustria, che il sistema scolastico-accademico non sia in grado di soddisfare la richiesta di competenze che proviene dal mondo delle imprese, e più in generale dal mondo del lavoro. Ecco perché c’è bisogno di rafforzare le attività di orientamento volte a ridurre il disallineamento fra domanda e offerta. La formazione e la preparazione dei professionisti del turismo nonché il miglioramento della qualità è determinante per sostenere la competitività del nostro Paese”.
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