Il tempo in cui il governo dovrà presentare il documento di Economia e finanza si avvicina e per questo Giorgia Meloni dovrà rispondere ai tanti giornalisti che le chiederanno, con ogni probabilità, come mai non è presente nessuna proposta relativa alla riforma pensioni2023.
Riforma pensioni 2023: dalle coperture al nodo previdenziale dal 2035
La legge strutturale 2023-2024 si sa infatti che potrebbe slittare in prima istanza alla Nota di Aggiornamento del def (NADEF) di settembre 2023, ma molto più probabilmente potrebbe addirittura finire nel Def 2024. Infatti quest’anno il nodo sulle coperture che doveva essere risolto entro marzo 2023, non ha avuto una soluzione e, anche per quanto concerne le coperture relative ai crediti incagliati dei bonus edilizi, questi copriranno a malapena 20 miliardi grazie agli interventi delle banche.
Inoltre la restante parte (che oscilla tra 90 e 100 miliardi) potrebbe non trovare soluzione, oppure essere smaltita in molti più anni, rendendo inefficace e impraticabile il sistema del superbonus. Insomma, c’è una categoria di aziende che di bonus ne ha avuta la pancia piena fino al punto che questi sono diventati tossici, secondo alcuni, per le casse statali, ma al contempo c’è una categoria di persone che ancora non riesce a comprendere sulla base di quale legge strutturale sulle pensioni dovrà calcolare il proprio reddito futuro, su quale quantità di denaro dovrà basare la propria vita mensilmente?
E soprattutto, c’è la necessità di comprendere come le categorie di lavoratori che non riusciranno ad andare in pensione entro un’età ragionevole, fosse anche quella fissata a 67 anni come previsto dalla legge Fornero, in che modo potrebbero permanere al lavoro e in che modo invece potrebbero accedere ad un ascensore previdenziale, fermo restando che Ape Sociale non è stata riconfermata.
Riforma pensioni 2023: la bomba sociale alle porte
Una situazione che ha fatto precipitare in basso quanti credevano nel colloquio e nel dialogo intrattenuto con il Ministero del Lavoro, sotto la dirigenza Orlando. Infatti nulla di ciò che è stato detto è stato poi fatto. Nulla, nemmeno la strutturazione di Opzione Donna che invece è stata depotenziata. ma la bomba socio economica, non scoppierà sono nelle mani dei governanti che fra 20 anni avranno in mano il ministero, molto banalmente basterà aspettare solo dieci, vale a dire quando le persone che svolgono mansioni di subordinazione e non hanno avuto il pagamento di almeno 15 o 20 anni di attività lavorativa a livello di contribuzione finiranno per dover andare a costituire una categoria, quella degli inoccupabili per limiti anagrafici ed esodati dalla pensione.
A loro toccherà un assegno misero non appena avranno raggiunto il limite di 41 anni di contributi (almeno si va oggi in questa direzione). Queste persone, qualora avessero conservato circa 5-8 mila euro all’anno, potrebbero pagare da sé i contributi restanti in regime agevolato e la restante parte potrebbe essere richiesta integralmente al datore di lavoro inadempiente.
Ma al di là di quelle che potrebbero essere le potenziali soluzioni ad una bomba sociale che è molto più vasta di quello che si possa immaginare, il vero problema scatterà quando i giovani millenial (coloro che nei primi anni due mila erano adolescenti o di poco maggiorenni) di oggi accederanno al sistema previdenziale italiano e richiederanno una pensione che non potrebbero mai avere. Perché di fronte ad un sistema previdenziale che non ha lavorato per tempo ai propri correttivi socio economici, ad un sistema assicurativo statale per costoro, agli ascensori previdenziali che, anzi, ha eliminato, ecco che il problema, non solo viene soltanto posticipato in avanti, ma viene addirittura ingigantito.
Riforma pensioni 2023: proiezioni per il futuro
Non volendo arrivare al 2050, perché magari troppo in là, basta restare coi piedi per terra e proiettarsi verso il 2035, vale a dire un anno da record o forse dovremmo dire l’anno spartiacque dove cioè la spesa pubblica costituirà il 17,5% del Pil e, dove, soprattutto, il numero dei pensionati dovrebbe superare per la prima volta nella vita del sistema paese, il numero degli occupati.
Nel 2050 la popolazione potrebbe invece essere ridotta di 6,7 milioni e arrivare a 52,3 milioni. contestualmente la spesa previdenziale potrebbe schizzare da 165 miliardi del 2035 (pari al 7,9% del Pil) a 220 miliardi (il 9% del pil) nel 2050 dove il 35% delle persone sarà costituito da ultra 65 enni. Il rapporto nel 2035, senza quindi andare troppo in là, sarà di 2 lavoratori per ogni 3 pensionati. E con che ricetta il governo che oggi (come ieri) promette di dare una legge strutturale (quindi valida anche per gli anni futuri), intende porre un freno, se non addirittura un rimedio, per la bomba sociale che ci attende nella seconda metà del prossimo decennio se, addirittura oggi, nella situazione attuale, è finita per ridurre la spesa relativa a Opzione Donna (uno strumento utilizzato solo dal 12% delle aventi diritto) e per non riconfermare Ape sociale?
Capiamo dunque che la riforma pensioni 2023 è una necessita legata non soltanto all’economia attuale, ma che potrebbe costituire un elemento essenziale per come il governo intenda affrontare nel futuro i problemi del paese. E le prospettive non sono certamente rosee.