In queste ore, il caso di un operaio licenziato in provincia di Lucca per aver mandatoil certificato di malattia in ritardo sta facendo discutere. Non solo perché l’uomo avrebbe mancato al suo dovere di lavoratore per un motivo drammatico, dovendo assistere la figlia 13enne vittima di uno stupro, ma anche perché un giudice, vagliata la sua istanza di reintegro, gli avrebbe dato torto ritenendo legittimo il licenziamento in tronco e condannandolo a pagare le spese legali.
Lo riporta Il Tirreno, secondo cui la vicenda sarebbe arrivata a uno sbocco in tribunale pochi giorni fa e affonderebbe le radici in un fatto risalente al 2020. L’operaio aveva impugnato il provvedimento dell’azienda e ora, dopo aver affrontato un incubo familiare, si troverebbe a fare i conti con l’amarissima evoluzione sul fronte professionale. Il suo ricorso sarebbe a rigettato, nonostante il ritardo fosse dovuto a una dimenticanza in costanza di una situazione personale gravissima, e il quotidiano ha ricostruito la storia spiegando come si sarebbero svolti i fatti che lo avrebbero portato alla perdita del lavoro.
Operaio licenziato per certificato di malattia in ritardo mentre assisteva la figlia 13enne vittima di stupro
La vicenda che riguarda l’operaio, licenziato per aver presentato il certificato di malattia in ritardo mentre assisteva la figlia vittima di una violenza sessuale, sarebbe iniziata nell’autunno di tre anni fa. L’uomo, all’epoca dipendente di un’azienda del Lucchese, sarebbe stato sottoposto ad un intervento chirurgico per cui l’assenza dal lavoro sarebbe dovuta terminare il 1° ottobre. Il 30 settembre, il medico gli avrebbe prolungato l’esenzione dal servizio fino al 2 novembre, ma nel frattempo l’operaio si sarebbe trovato ad affrontare una situazione terribile perché la figlia, allora 13enne, avrebbe subito uno stupro. Un dramma che lo avrebbe visto produrre in ritardo il certificato di malattia, inviato il 7 ottobre (tre giorni dopo il termine previsto). Proprio quel 30 settembre, giorno in cui l’operaio avrebbe ricevuto un’ulteriore estensione della malattia dal suo medico, la figlia minorenne, secondo quanto riporta Il Tirreno, sarebbe stata convocata per l’incidente probatorio dopo l’individuazione del presunto responsabile della violenza e pochi giorni dopo avrebbe accusato un malore che avrebbe reso necessario il trasporto in ospedale.
Una serie di gravi circostanze e preoccupazioni che, ricostruisce il quotidiano, avrebbero occupato tempo e mente dell’operaio al punto, come comprensibile, da far passare tutto il resto in secondo piano. All’azienda non sarebbero bastati i motivi e le scuse dell’operaio per il ritardo nella presentazione del documento, tanto che la vicenda sarebbe sfociata in una contestazione datata 20 ottobre alla quale l’uomo avrebbe dovuto rispondere entro cinque giorni. Lo avrebbe fatto però solo il 28 dello stesso mese, incassando così il licenziamento. Il caso sarebbe finito al centro di una battaglia legale e le speranze dell’operaio in un reintegro si sarebbero frantumate davanti alla decisione del giudice. Il Tirreno riporta un passaggio della sentenza che gli avrebbe dato torto: “Le giustificazioni addotte dal lavoratore, pur umanamente condivisibili, non possono assurgere a motivo di impedimento oggettivo“. Secondo il giudice, il provvedimento dell’azienda sarebbe proporzionale anche perché “la condotta complessiva tenuta dal ricorrente evidenzia una certa superficialità e disinteresse rispetto alle dinamiche lavorative, facendo venire meno quell’imprescindibile rapporto fiduciario con il datore di lavoro“. Ora l’uomo dovrà dedicere se ricorrere in appello.