Un recente articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire ha denunciato le pessime condizioni della libertà di stampa in Somalia. Da tempo il paese africano, punto d’accesso al continente dall’oriente, combatte una violenta e difficile guerra contro il terrorismo islamico raccolto attorno alla bandiera di Al-Shabaab, che sarebbe piano piano riuscito ad infiltrarsi a tutti i vari livelli della società, dalla polizia, al governo stesso.
Non è un caso, d’altronde, che la Somalia occupi la 140esima posizione (su 180) nella classifica sulla libertà di informazione stilata da Reporter senza frontiere. Per i giornalisti lavorare nello stato africano è un vero e proprio incubo, fatto di limitazioni nella parola e di imposizioni, oltre che ovviamente di torture e persecuzioni. Un altro problema fondamentale e profondamente radicato all’interno della Somalia è la corruzione, che secondo Trasparency International è la peggiore in tutto il continente africano. Dunque un problema doppio, perché reporter e giornalisti che vorrebbero denunciare la corruzione del paese, si trovano a dover fare i conti con limitazioni che finiscono, inevitabilmente, per farli pedinare, picchiare ed incarcerare.
La Somalia tra terrorismo e corruzione
Insomma, la condizione in cui versa la Somalia non sembra essere affatto positiva, soprattutto perché ormai il braccio del terrorismo islamico è piuttosto lungo e radicato. Tramite infiltrazioni i terroristi di Al-Shabaab sono riusciti ad arrivare anche all’interno del Governo, di fatto eleggendo chi preferiscono e facendo sì che vengano approvate delle leggi fatte su misura per aumentare ulteriormente la loro influenza.
Attualmente, ai giornalisti che lavorano in Somalia, secondo una di quelle leggi, è proibito scrivere “Al-Shabaab“, e devono optare piuttosto per un generico “gruppo estremista”. Similmente, un’altra legge consente allo stato di controllare tutte le notizie che vengono pubblicate, scegliendo autonomamente ed irrevocabilmente di censurarle. Nella maggior parte dei casi ad intervenire per frenare la curiosità dei reporter è la Nisa, ovvero la polizia politica della Somalia, le cui modalità non hanno nulla di convenzionale. I reporter vengono controllati, seguiti e pestati in mezzo alla strada, talvolta anche accoltellati. Segue, poi, una lunga trafila in carcere, in cui di fatto si perdono le loro tracce, dove vengono ulteriormente picchiati durante gli interrogatori e lasciati sotto al sole, senza acqua o cibo. Scarcerati, però, non possono uscire di casa senza essere, nuovamente, picchiati.