“Gli abbandonati di oggi. I cristi di oggi”. Così ha detto Papa Francesco, nell’omelia pronunciata in occasione della Domenica delle Palme. Mi ha molto colpito che il Pontefice, nel giorno dell’inizio della Settimana Santa, in cui normalmente si celebra “il trionfo” terreno di Gesù che entra a Gerusalemme, la Città Santa, acclamato dalla folla festante al grido di “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, abbia invece preferito dedicare le sue parole, in anticipo, al tema doloroso del Venerdì Santo. Così, in queste ore di passione, sono tornato a leggere quel suo discorso.
“I cristi di oggi”, nelle parole di Bergoglio, sono i tanti che vivono dimenticati. Li ha paragonati al Cristo che, sulla croce si sente abbandonato da Dio: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. A un certo punto ha detto anche: “Penso a quell’uomo cosiddetto ‘di strada’, tedesco, che morì sotto il colonnato, solo, abbandonato. È Gesù per ognuno di noi. Tanti hanno bisogno della nostra vicinanza, tanti abbandonati. Anch’io ho bisogno che Gesù mi accarezzi e si avvicini a me, e per questo vado a trovarlo negli abbandonati, nei soli”.
Sono parole che sfidano a uscire dalla nostra bolla di autoreferenzialità e vedere quel qualcosa in più che c’è negli altri.
Allora, in queste ore, non posso non pensare che il Venerdì Santo di dieci anni fa moriva un amico, Enzo Jannacci, uno che era sempre andato a incontrare “i cristi abbandonati”. Lo faceva quando vestiva gli abiti del medico e lo faceva nelle sue canzoni. Lui sapeva vedere un qualcosa in più nelle persone.
Come il barbone di “El purtava i scarp de tennis”, quello che non era nessuno per la gente (L’an truva’, sot a un mücc de cartun, gh’an guarda’ el pareva nisün), ma che aveva “dü öcc de bun”, due occhi da buono. Il madonnaro solo (Lü ‘l stava semper in d’un cantun e ‘l ghe parlava mai a nisün) sbattuto in galera da un vigile che sprezzante gli calpesta la Madonna disegnata sul marciapiede, e “nella sua cella ha fatto una pitura della crocifissiun; il suo Gesù è vestito come un ghisa (vigile), un ghisa cunt i scarpun”.
Oppure quell’uomo visto in via Lomellina, periferia milanese. E lo osserva “per caso, una sera, svuotarsi di tutto il suo dolore” tra la gente indifferente “che guardava, ma non domandava” salvo una donna che si ferma un attimo, per poi concludere: “ho visto un uomo… piangeva da un’ora… Ma forse, un balordo; magari un malore”. E naturalmente Vincenzina che guarda la fabbrica, “come se non c’è altro che fabbrica, e hai sentito anche odor di pulito, e la fatica è dentro là…”.
Anche piccoli drammi della vita quotidiana, quelli di chi non riesce a costruirsi la sua storia di amore perché non è alla moda, come il soldato Nencini ,”soldato d’Italia semianalfabeta, schedato: ‘terrone'” che sorrideva sempre e nessuno capiva perché, piantato per lettera dalla sua Mariù e per questo si è “messo in disparte, sorride un po’ meno” e “di tanto in tanto, ti ferma qualcuno e gira e rigira quel foglio marrone: ti legge una frase; ti dice: “c’è scritto: sai, tristi è aspettari: se non t’amo più, conviene lasciarsi, firmato: Mariù”.
E c’è il marito povero che torna a casa dal lavoro, verso la periferia di Milano e pensa ai figli e alla moglie, vorrebbe comprare la torta per i “fioeu che vegnen cà de scola… te tuca daghi i vissi, per ti, un’altra vestina! A ti, te cumpri i scarp!” (per i bambini, che tornano a casa da scuola e bisogna viziarli, mentre a te regalo un vestito, anzi no, delle scarpe). Invece non può perché non ha i soldi, ma non per questo si sente da meno perché lui sa apprezzare quello che conta davvero: “quand mi te caressi la tua bèla faccetta inscì netta, me par me par de vèss un sciúr” (quando accarezzo il tuo bel viso, così pulito, mi sembra di essere un signore).
Sbaglierebbe chi pensasse che questa capacità di guardare, di accorgersi degli esseri umani per ciò che sono, poveri cristi abbandonati, significhi tristezza, amarezza, rassegnazione, sconfitta. Tutt’altro: “Quando un musicista ride è perché dentro sente una strana gioia vera… E scopre che la sua angoscia è buona perché è la sua tristezza che suona”.
Ha detto Francesco il giorno della Domenica delle Palme: “Per noi, discepoli dell’Abbandonato, nessuno può essere emarginato, nessuno può essere lasciato a sé stesso; perché, ricordiamolo, le persone rifiutate ed escluse sono icone viventi di Cristo, ci ricordano il suo amore folle, il suo abbandono che ci salva da ogni solitudine e desolazione”.
Un amore folle: il senso profondo del Venerdì Santo.
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