La terza raccolta organica del poeta Massimiliano Mandorlo, appena edita da MC Edizioni con il titolo di Mappe del grande mare, rivela la maturazione di una poetica offerta ora nella forma salda e compatta di limpide e modulate variazioni intorno a un tema centrale, tanto semplice quanto ricco di implicazioni simboliche e culturali: quello del mare.
La semplicità metrica, sintattica e lessicale che caratterizza questa nuova tappa del percorso poetico di Mandorlo si manifesta non come opzione spontanea e immediata, bensì come traguardo invocato e raggiunto per grazia (“posami sulla fronte / la stella di fuoco / della tua semplicità”) di una voce che vuole prima di tutto porsi in diretto dialogo con gli elementi essenziali e primigeni del creato, come in una “prima alba del mondo”, piuttosto che con la comunità dei poeti. Sembra fuori dal tempo, lontana da scuole o tendenze, ma sa riconoscersi e paga i suoi debiti a una tradizione che viene evocata senza esibizioni, la cui testimonianza è affidata, oltre che ai riferimenti presenti nei versi (Ungaretti, Luzi, Loi, Pontiggia, De Angelis, Rivali, tra quelli che sono riuscito a identificare), dalle citazioni poste in esergo alle diverse sezioni del libro, come fossero varchi di un rito iniziatico o, ancor meglio, mappe orientative di un viaggio.
Sin dalla prima sezione, le visioni marine sono espresse in veri e propri inni di lode rivolti a elementi del creato, che acquisiscono definizione proprio nel rapporto con il pervasivo principio marino: innanzitutto la terra (la parola più ricorrente della raccolta, tanto da condizionare il titolo delle prime sezioni: “Cantico terrestre” e “Terra ignota”), poi la notte, il vento, le luci del cielo, il verde delle piante e, infine, due territori geografici, ma non privi di attributi mitici, evocati a più riprese: l’Australia e, soprattutto, la Sicilia.
L’atteggiamento del poeta è commosso e pieno di gratitudine, “francescano”, come constata Marco Vitale nell’introduzione; potremmo dire anche non naturalistico ma simbolico, religioso. Nuclei semantici rappresentati da termini come “gloria”, “benedizione”, “luce”, “gioia” hanno infatti un peso determinante nel vocabolario complessivo della raccolta, dove anche la morte è “azzurra” e le strade sono “spalancate di stupore”. Non di rado, appellativi e attributi materni e paterni sono accordati agli elementi naturali (“mare cullami”), che sembrano unirsi, in una delle prose poetiche narrative che la raccolta include, nei “drappi blu stellati” di una miracolosa madonna di un’arcaica processione siciliana, quando mare, cielo, terra e stelle entrano prodigiosamente in comunione.
Nella definizione di Marco Vitale, “l’affascinante cuore del libro” è rappresentato dal racconto in versi di due suggestivi viaggi: l’itinerario epifanico dei Magi, rappresentato ispirandosi dichiaratamente a un commento di san Giovanni Crisostomo e a una celebre raffigurazione di Gentile da Fabriano, probabilmente non senza la memoria poetica del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, e l’esplorazione dell’Australia del capitano James Cook nel XVIII secolo, che offre a Mandorlo l’occasione di tornare sui propri passi, cioè alle immagini e alle suggestioni che avevano informato le sue prime esperienze poetiche, poi comprese nella raccolta Luce evento.
Nel movimento di ritorno su alcune inesauste sorgenti ispiratrici, dopo avere attraversato altre due sezioni che definirei di raccordo, la conclusione si pone sotto il segno delle origini, per utilizzare una parola che definisce un altro importante campo semantico della raccolta: di nuovo il mare, ma questa volta geograficamente determinato, l’Adriatico, che secondo un’antica leggenda, che qui assume i connotati di un sogno o, meglio, di una rivelazione, risucchia e sommerge la mitica città di Conca, al largo della costa tra Romagna e Marche. L’evocazione, su cui avrà avuto peso determinante il legame con la propria terra di origine, offre al poeta l’occasione per celebrare, in versi nitidi, di rara intensità e carichi di mistero, questa mitica distruzione nei termini di un evento non indolore (l’onda azzurra che inghiotte tutto, i naufraghi, la morte) ma glorioso.
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