Il Documento economico e finanziario che da martedì 11 aprile il Governo comincia ufficialmente a elaborare, e sulla base del quale verrà scritta la Legge di bilancio del 2024, ha una caratteristica, anzi quasi una tara.
Qual è? Semplice. Il 2024 è l’anno nel quale quella parvenza di istituzione unitaria che continua a darsi il nome di Unione europea, nonostante lo sfaldamento nelle relazioni internazionali che sta vivendo, dovrebbe ridarsi un Patto di stabilità vincolante per la finanza pubblica di tutti gli Stati membri. Tradotto, da martedì 11 aprile inizia la trattativa Italia-Germania sulla finanza pubblica e i connessi vincoli di bilancio.
Diciamocelo: partiamo meglio di quel che potevamo temere, ma peggio di tutti gli altri. Ossia partiamo da un rapporto debito/Pil del 144,5%, molto meglio del 160% cui eravamo arrivati a fine 2020 causa Covid, ma di gran lunga peggio di tutti gli altri Stati dell’Eurozona.
Si sa che quel gorilla nella nebbia che si è ridotta a essere la Germania, ma che tuttavia detta la legge economica ai partner, ha molto, moltissimo ridimensionato le pretese di quella specie di sergente di truppa che si chiamava Schaeuble, e che aveva imposto il mai attuato “Fiscal compact” del 2016. Ve lo ricordate? Un papocchio feroce che obbligava gli Stati membri a ridurre di 3 punti percentuali all’anno il rapporto debito/Pil per riportarlo al tetto massimo concesso del 60% entro 20 anni. Per l’Italia una sfida insostenibile. Il 3% del Pil sono 45 miliardi di euro. Significava avere un “avanzo primario” di almeno 120 miliardi (quel che serve per pagare gli interessi sul debito esistente e abbassarne l’incidenza), che per un bilancio pubblico da 860 miliardi è pressoché impossibile.
La Germania dell’inesistente cancelliere Olaf Scholz si accontenterà dell’1% di riduzione annuale. Che però significa pur sempre, per noi, produrre un avanzo primario (quel che resta sottraendo tutta la spesa pubblica a tutte le pubbliche entrate) di almeno 80 miliardi di costo del debito + 15 di riduzione del debito, un bel tesoretto da 95 miliardi. Ce la faremo mai?
Si comincerà a discuterne da oggi, ma sembra oltremodo improbabile. Certo, ci aiuta il solito “stellone” italico, cioè la crescita economica che va meglio di quello che i soliti economisti ubriachi prevedevano da tutti gli osservatori internazionali, che sembrano autorevoli solo perché noi continuiamo a definirli tali, nonostante sbaglino sempre tutto.
L’Italia quest’anno sta crescendo più del previsto, circa dello 0,9%. Ma il deficit – pagati gli interessi – è fissato previsionalmente al 4,3%, il che significa emettere più debito, non rimborsarne e cancellarne una parte come ci chiederà di fare il nuovo patto di stabilità…
Una strada ci sarebbe, per provare. Rimetter mano alla spending review! Ve la ricordate? L’ha archiviata di fatto il Governo Renzi, affidando la patata bollente a un supertecnico come Yoram Gutgeld che ottenne qualche risultato dovendone però constatare la vanificazione rispetto al crescere di altre voci di spesa. E dunque?
Dunque non sarà un Documento di baldoria. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già fatto sapere di essere attestato su una linea di “prudenza” nella gestione dei conti pubblici. Aspettiamoci qualche brutta sorpresa.
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