“Sud, fuga dalla scuola”, titolava in prima pagina Repubblica di qualche giorno fa. Sembra una nuova clamorosa notizia e invece è sempre la stessa da alcuni anni.
La prima volta che mi sono imbattuto in un progetto milionario sulla dispersione scolastica era il 1999. Ero in assegnazione provvisoria in una scuola superiore di una cittadina a sud di Salerno, dove da alcuni anni era in atto un progetto ministeriale denominato Disco. Consisteva in ore aggiuntive di lezione da parte di docenti di un gruppo di materie. Ore in più retribuite lautamente. È andato avanti per alcuni anni. Risultati? Non pervenuti. Da allora quante risorse sprecate e oggi la musica non cambia.
“Non ci sarà Pnrr o cascata di miliardi che possa curare questa piaga, se non attraverso un’alleanza sui territori: servono le comunità educanti” dice a Repubblica Marco Rossi-Doria, ex maestro di strada e già sottosegretario all’Istruzione. Comunità educanti mai partite perché, come ha detto Rossi-Doria, una parte della burocrazia del ministero non ha recepito le proposte di chi opera.
E siamo alla questione delle questioni che nessuno ha il coraggio di affrontare. Questa gigantesca struttura burocratica che regge e imprigiona l’istruzione in Italia è il vero nemico dell’esperienza educativa. Non innanzitutto in quanto burocrazia, ma come blocco di potere ideologico che anziché servire una libera esperienza educativa la dirige e la soggioga per i propri interessi corporativi. Una burocrazia che si nutre proprio grazie alle emergenze.
Oggi il rischio è che si perda un’altra occasione. Basti vedere come saranno spesi nelle scuole la gran parte dei fondi del Pnrr: in migliaia di progetti che non porteranno nessuna novità nella scuola. Molti dirigenti scolastici, non avendo idea di come spendere questi ingenti fondi, si sono affidati ai soliti esperti che stanno creando migliaia di inutili iniziative, tra l’altro già in atto da anni nelle scuole. Significativa la risposta in un’intervista di una dirigente scolastica dopo l’annuncio dell’erogazione dei fondi alla sua scuola: “Non sappiamo come possono essere spesi, perciò aspettiamo la circolare ministeriale”. Questo è il segno che quello che non si percepisce è il bisogno profondo che muove ogni giorno migliaia di ragazzi, famiglie, insegnanti verso la scuola.
Qual è, ogni giorno, la vera novità a scuola? Semplice: un “Io”. Più dei tablet, più delle lavagne multimediali, più di ogni riforma, dell’autonomia e perfino dei fondi europei. Perché se dietro al banco (e dietro la cattedra) c’è un io già addormentato, non c’è schermo touch che tenga: nessuna innovazione o buona idea potrà mai premere “start”. Se non si parte da questa domanda tutte le strategie messe in atto non attrarranno un ragazzo in più.
Che cosa rende attrattiva una proposta educativa? L’incontro con persone impegnate seriamente con il proprio problema umano. Come? Lavorando insieme sulla verifica dell’ipotesi esplicativa della realtà. Sarà questo lavoro e chi è quotidianamente impegnato con esso a suggerire gli strumenti e l’utilizzo delle risorse finanziarie e umane da mettere in atto. Tutto il contrario di quello che accade oggi nelle scuole, per cui il titolo di Repubblica lo potremmo replicare all’infinito.
È un problema di “libertà di educazione”, la vera rivoluzione educativa che può mettere in campo quelle “comunità educanti” di cui accennava Rossi Doria. Con una avvertenza: che non si sostituiscano all’attuale burocrazia ministeriale, perché il rischio (lo vediamo in atto in tanti progetti scolastici) è che organizzazioni costituite allo scopo si impadroniscano del lavoro educativo escludendone i veri protagonisti.
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Tutti fanno riferimento, esaltandola, alla sua straordinaria esperienza educativa. Perché fu così eccezionale? Perché era una scuola libera!
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