I trend, che dalla sostanziale fine dell’epidemia si erano andati rincorrendo, lo avevano in qualche modo anticipato. È il ritorno dell’overtourism, il fenomeno che aveva soffocato le città fino al 2019, e che adesso, al primo ponte di primavera, quello pasquale, s’è rifatto concreto a tal punto da spingere città d’arte e destinazioni turistiche ad invocare misure contenitive. Come succede alle Cinque Terre, che chiedono una legge speciale per la regolamentazione dei flussi, o a Napoli, che si ritrova anzitempo ad affrontare il turiscudetto, il turismo spinto dall’entusiasmo per la capolista di Serie A, che a Pasqua e Pasquetta ha visto un pellegrinaggio infinito a largo Maradona. Fino al singolare divieto scattato a Portofino, dove non si applica nessun numero chiuso, ma i turisti possono sostare sul molo o in piazzetta solo per il tempo di un selfie o di una foto: se si sfora, si andrà incontro a una sanzione da 65 a 275 euro. Un selfie o uno scatto con lo smartphone, insomma, come un disco orario pedonale, per favorire il tournover e scoraggiare gli assembramenti, soprattutto dei gruppi.
La realtà è che la resilienza del turismo s’è rivelata enorme, basata più che sull’investimento pubblico o privato delle destinazioni, sulla psicoreazione della gente, sugli anticorpi sviluppati contro l’isolamento forzato del Covid, sull’insopprimibile volontà di viaggiare, vedere, condividere location ed esperienze, fosse anche solo con un selfie. Il turismo si conferma un’industria pesante, che vale oltre il 13% del Pil (il segmento industriale propriamente detto segna un 20%, l’agricoltura un 2%), e come tale avrebbe necessità di un piano nazionale idoneo a guidarlo sui sentieri della qualità e della sostenibilità. Tutta roba difficile in un Paese che delega ai territori regionali la competenza esclusiva delle politiche del turismo, tenendo per sé (cioè per il rinato ministero ad hoc, una fenice con le ali evidentemente spuntate) solo le funzioni di promozione e di (tentato) coordinamento.
Assistendo ai dischi orari pedonali, ai pedo-ingorghi di Napoli, alle incredibili resse delle Cinque Terre, parlare di sostenibilità sembra un miraggio. Ed è meglio non parlare proprio della qualità. Bell’esempio a Venezia, dove, pre-pandemia, era stato varato un articolo del nuovo regolamento di polizia e sicurezza urbana dedicato alla disciplina sull'”accaparramento di clienti”. Si tratta del divieto a titolari o lavoratori di bar, caffè, ristorante, albergo o a chiunque presti servizio “in ogni altra attività ricettiva, esercizi commerciali e ogni altra struttura produttiva” di “invitare con qualunque forma e mezzo le persone che transitano davanti ad entrarvi”. Sono i cosiddetti “battitori”, i buttadentro, divenuti brutta e a volte fastidiosa caratteristica di quasi tutte le destinazioni più frequentate, al pari delle locandine con le fotografie dei piatti proposti, delle consumazioni, altra consuetudine che lo stesso regolamento veneziano avrebbe voluto vietare. Non è dato sapere se la norma del regolamento sia stata effettivamente applicata, ma certamente la sua efficacia sembra a dir poco appannata, visti i battitori o le foto che ancora campeggiano davanti ai locali. Certo, un conto è la norma, un altro è il farla rispettare da parte di forze dell’ordine cronicamente in carenza di organico ed effettivamente senza grandi possibilità di valutare se un cameriere sia davvero un battitore o no.
Ma i buttadentro sono solo la punta di un iceberg: la lunga fila vede anche i listini gonfiati ad hoc per i turisti, specie se stranieri, scambiati per bancomat o per limoni da spremere; i servizi pubblici, trasporti e parcheggi in testa, non tarati per assorbire i flussi maggiorati; l’invasione incontrollata dei venditori di cianfrusaglie e via dicendo. Il tutto inversamente proporzionale al livello di qualità, che invece dovrebbe essere l’indice sul quale basare la fortuna di una destinazione. L’overtourism è invece il trionfo della rendita di posizione, il risultato di chi vuole incassare tutto e subito, e buonanotte per i tempi a venire. Un futuro che invece viene seriamente minacciato dai feedback che si rincorrono sui social, la generale insoddisfazione espressa da chi in quell’intruppamento c’è finito, una moltitudine di recensioni che prima o dopo scalfiranno la reputation anche della destinazione migliore, quella che oggi gongola vedendo i suoi hotel o i bar pieni zeppi. Se il viaggiatore curioso sceglierà sempre più scandagliando il web, finirà con l’accorgersi che in certe piazze il fastidio sarebbe maggiore del gusto per una grande bellezza.
Nel lungo periodo, insomma, meglio un turismo sostenibile che uno molto, troppo pop.
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