L’Europa come insieme di Stati con rapporti di potenza a geometria variabile non è più il centro del mondo. Siamo giunti al pieno disvelamento di un processo che dura dal crollo dell’Urss e che oggi giunge sul proscenio.
La tardo settecentesca Guerra dei sette anni iniziò in Europa, ma fu – per definizione di Churchill – la Prima guerra mondiale, perché definì il dominio planetario tra America del Nord e India con l’ascesa dell’Inghilterra come impero e il declassamento definitivo della Francia da quella vetta (così come era già iniziato per l’impero spagnolo dopo la morte di Carlo V). E dall’involucro britannico – con la rivolta delle colonie – scaturì quel caratteristico e unico impero mondiale fondato insieme sulla moneta dominante – il dollaro – e sulla potenza militare disseminata nei plessi strategici mondiali: gli Usa.
Quello che accade in questo ultimo anno è il disvelamento di un cambio d’epoca che si è messo in marcia dopo la guerra in Iraq del 2003 con la divisione dell’Europa che ne è seguita, ben definita da Rumsfeld distinguendo tra nazioni rannicchiate sull’autonomia nazionale gollista e quelle preformate dal dominio imperiale prima ricordato. Dominio che si è manifestato con la centralità assunta dal fronte baltico-polacco della Nato di contro al declassamento di quello mediterraneo rivolto verso l’Africa e il Grande Medio Oriente.
Con l’aggressione imperialistica russa all’Ucraina è apparso che questo gioco di movimento non è europeo, ma mondiale. Il ritmo di disvelamento è stato dato dalla ritirata Usa dall’Afghanistan, che ha aperto un vuoto di potenza in un’Asia Centrale destinata a ridivenire il Grande Gioco come fu a fine Ottocento tra i due imperi inglese e russo. La differenza è nel fatto che oggi la Cina è una potenza imperiale che si sta trasformando – prima volta dopo il ritiro quattrocentesco che costituisce ancora un enigma per noi studiosi – da potenza inferma di terra in potenza inferma di mare.
Non a caso la ritirata afgana – moderna Anabasi che attende ancora il suo Senofonte – è stata seguita dall’invasione russa, a cui si accompagna ora la minaccia armata dichiarata della Cina su Taiwan. Anche qui la variante storica è la lenta ma inarrestabile potenza indiana di cui il nazionalismo indù è stato il detonatore.
Tutti dichiarano di essere multilateralisti, ma tutti – potenze grandi, medie e meno che medie che hanno riacquistato movimenti peristaltici semiautonomi prima impensabili – sono realisti nei fatti. Ossia misurano come far prevalere la ragioni di Stato come dominio senza egemonia.
Un’altra variante decisiva è il fatto che questo disgregarsi degli Usa, questo delirio aggressivo russo, questo lentissimo porgersi armato della potenza cinese avviene nell’orizzonte drammatico di un possibile conflitto nucleare. Conflitto che non può essere esorcizzato così come si continua a fare.
Il declino strategico Usa si unisce in questo oscuro orizzonte alla divisione franco-tedesca e alla separatezza tra movimento delle nazioni e movimento del servo meccanismo della tecnocrazia europea, com’è emerso drammaticamente nelle visite sincrone ma mai congiunte della von der Leyen e di Macron in Cina. Una separatezza che potrebbe – come già accade – segnare il pericolo più grave che il mondo intero possa affrontare.
Non ci sono alternative al confronto secolare delle nazioni, si tratta di una sorta di legge della dislocazione di potenza nel mondo: ogni tentativo di creare poteri artificiali e non legittimati da una circolazione delle élite frutto della storia secolare, anziché di colpi di mano istituzionali, crea solo mostruose cadute nella sicurezza internazionale con la proliferazione della guerra.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.