“L’economia italiana è resiliente”: Giancarlo Giorgetti lo ha ripetuto anche a Washington dove è volato per il meeting di primavera del Fondo monetario internazionale. Il ministro dell’Economia ha ragione, l’Italia cresce anche quest’anno al contrario della Germania, segno che sia la manifattura, sia i servizi sono stati in grado di metabolizzare la crisi energetica, l’inflazione, le sanzioni alla Russia, i tre fattori che secondo il coro dei gufi che si levava alto fino a poche settimane fa, ci avrebbero portati al collasso. La resilienza, dunque, è una virtù, ma non basta, anzi potrebbe diventare l’anticamera di una nuova stagnazione se non partono gli investimenti previsti con il Pnrr.
Anche la prudenza nei conti pubblici è una virtù, il rischio però è che sia lo specchio di una cronica mancanza di risorse. Il Documento di economia e finanza purtroppo lo dimostra. Le voci fondamentali, quelle che hanno un impatto immediato sul ciclo economico sono: le tasse, la spesa per consumi, quella per investimenti, il debito pubblico. Se le entrate non compensano le spese, si allarga il disavanzo il quale aumenta il debito che, con tassi in aumento, costerà sempre di più assorbendo risorse che potrebbero essere destinate a consumi e investimenti pubblici. È vero che per un mero effetto contabile l’inflazione riduce il debito rispetto al prodotto lordo calcolato in termini nominali, ma il rialzo dei tassi porta a circa 100 miliardi di euro l’anno il fabbisogno per pagare gli interessi. La coperta, dunque, è corta e si restringe come un panno di lana in acqua bollente. Eppure sembra che il mondo politico non se ne renda conto, tanto che appena pubblicato il Def, è cominciata la caccia al tesoro, anzi al tesoretto.
È stato chiamato tesoretto, perché l’effetto automatico dell’inflazione sulle entrate (soprattutto dell’Iva) e il trascinamento del boom del 2022 hanno aperto alcuni spiragli nei conti pubblici. Ci sarebbero, quindi, più risorse per ridurre il cuneo fiscale. Ma il taglio in realtà è poca cosa, tra l’uno e l’altro si tratta di un beneficio di 5,14 miliardi di euro su base annua come ha calcolato il viceministro Maurizio Leo sul Corriere della Sera. E adesso salta fuori che non c’è nulla nemmeno per le “pantere grigie”.
La pensione di vecchiaia continuerà ad arrivare a 67 anni. Il Governo per ora ha stanziato 2,2 miliardi di euro grazie ai quali dovrebbe essere confermata nel 2024 la stessa quota di quest’anno (cioè 60 anni di età e 43 anni di contributi). Intanto l’inflazione ha innescato una bomba a orologeria. Soltanto l’adeguamento ai prezzi porta automaticamente la spesa pubblica a 50 miliardi di qui al 2025, mentre l’invecchiamento della popolazione prevede un continuo aumento dei pensionati. Nel 2022 sono stati spesi 297 miliardi di euro, saliti a 318 quest’anno. Il Def calcola che saranno 341 e rotti nel 2024 con una spesa rispetto al prodotto lordo che continua a salire fino al 17% nel 2040 (più degli altri Paesi avanzati). La Ragioneria dello Stato ha stimato che l’effetto combinato di inflazione e invecchiamento pesa mezzo punto di Pil.
Per il Ponte sullo Stretto di Messina, che dovrebbe essere l’ultima meraviglia del mondo (il più lungo a una sola campata) non c’è un euro, ma questo lo si sapeva già. Anch’esso, come la grande riforma fiscale, è un progetto “di legislatura” o forse della prossima legislatura. Giorgia Meloni continua a promette altre spese: incentivi per la famiglia con l’obiettivo di fermare il drammatico crollo della natalità; sostegni per aumentare l’occupazione perché sia l’industria. sia i servizi lamentano una spaventosa carenza di manodopera; finanziamenti al Piano Mattei (qualsiasi cosa sia il piano si traduce in trasferimenti di risorse finanziarie verso i Paesi africani). Adolfo Urso ministro del Made in Italy annuncia un progetto per rilanciare gli incentivi agli investimenti e all’innovazione. Una sorta di Industria 5.0. Ma arrivano cattive notizie anche sulle tariffe, dopo i ribassi di questi mesi, si prevede un nuovo rincaro. Ciò vuol dire che sarà difficile una normalizzazione sia pur progressiva della politica dei sostegni, come annunciato da Giorgetti.
Nessun tesoretto, insomma, mentre nelle anticamere del Tesoro si allunga la fila dei questuanti. Spesso sono richieste legittime, talvolta necessarie. Ma anche se il Governo riuscisse a bloccare il tradizionale assalto alla diligenza, si troverebbe di fronte a una seria penuria nelle casse pubbliche. E nessun aiuto potrà venire dal Pnrr, non solo perché i cantieri promessi sono ancora lontani, ma perché il piano non serve per tappare i buchi della spesa corrente. O almeno non deve servire a questo. Nel 2022 hanno gli investimenti pubblici sono stati appena 4 miliardi di euro. L’impatto sul Pil del Pnrr quest’anno sarà minimo, soprattutto se continua a slittare la sua messa a terra. Intanto il deficit pubblico previsto (4,5% quest’anno e 3,7% l’anno prossimo) suscita preoccupazione a Bruxelles anche perché tornerà in vigore il Patto di stabilità e la Germania chiede che i Paesi più esposti riducano di almeno un punto percentuale il rapporto debilto/Pil. Quindi, la speranza che si possa aumentare il disavanzo per accontentare tutte le promesse politiche è destituita di ogni fondamento.
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