I nuovi contratti a termine potranno essere portato da 12 a 24 mesi e le causali saranno rese più accessibili. In questo modo il datore di lavoro potrà “prolungare il tempo determinato” dei dipendenti, impegnandosi a pagare una maggiorazione sulla contribuzione.
Decreto dignità: cosa cambia dopo le modifiche
I contratti a tempo determinato sono una passione tutta italiana. Così come evidenziato da Il Corriere della Sera “nel 2021 ne sono stati attivati 7,7 milioni (il 69% del totale) che sono diventati 8,5 milioni nel 2022. Nel terzo trimestre dell’anno scorso oltre il 31% dei contratti a termine sottoscritti aveva una durata massima di un mese e il 46,5% non superava i 90 giorni“.
Il nuovo decreto lavoro dunque renderà più accessibili le causali da inserire per richiedere la proroga del tempo determinato. Si tratta di una novità dal momento che, sulla base della normativa vigente, dopo 12 mesi di tempo determinato sarebbe scattata l’assunzione a tempo indeterminato. Con queste modifiche al decreto dignità (che introdurranno anche delle modifiche al Reddito di cittadinanza), il tempo determinato verrebbe prorogato di altri 12 mesi fino ad un massimo di 24 mesi.
Decreto dignità: gli obblighi del datore di lavoro
Il datore di lavoro dovrebbe però impegnarsi a pagare una sorta di pensale quantificabile in un 0,5% in più di contributi. Non tantissimo.
Tuttavia una normativa del genere, sicuramente risponde alle esigenze di alcune aziende, ma in un certo senso cancella il lavoro di incentivi alle assunzioni fatto fino ad oggi, anche attraverso l’introduzione al reddito di cittadinanza.
Infatti se è vero che il contratto a tempo determinato l’ha fatta da padrona fino a questo momento, è pur vero che le numerose politiche all’assunzione a tempo indeterminato, anche in tempo di pandemia, hanno portato le aziende a moltiplicare questo genere di contratti. In particolare un report realizzato da Veneto Lavoro e pubblicato il 6 aprile 2023, ha stabilito che la regione ha il più alto numero di attivazione di contratti a tempo indeterminato: 230 mila in totale, con circa 92 mila trasformazioni, 132 mila assunzioni dirette e un calo dei contratti a tempo determinato di 5 mila unità.