Il 7 dicembre 1965, nell’ultima sessione pubblica del Vaticano II, Paolo VI con umile fierezza rivolgeva queste parole agli “umanisti” del suo tempo: “L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. (…) La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.
Nel solco tracciato da Paolo VI, con il suo prezioso lavoro teologico e la gioia della sua paternità spirituale, Joseph Ratzinger ha dato il suo fondamentale contributo ad un autentico umanesimo cristiano e ci lascia in eredità il dono e il compito di “cantare l’uomo”, per diventare ed essere sempre di più “cultori dell’uomo”. Di questo canto dell’uomo egli ci ha indicato la sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna: essa sgorga dal canto di Dio. Gli interessi e gli studi sull’opera di Ratzinger sono da tempo vari e molteplici e ora, dopo la sua morte in terra e la sua nascita al Cielo, vedranno senz’altro nuova ed abbondante fioritura. Senza alcuna pretesa di offrire una visione d’insieme del suo pensiero così profondo, complesso e volutamente non sistematico, vorremmo solo richiamare qualche sua breve ma densa riflessione sul mistero dell’uomo inscritto nel Mistero di Dio, riflessioni che ci sembrano quanto mai attuali per vivere con realismo il tempo presente ed affrontare con gioia speranzosa – alla Luce della Pasqua da poco celebrata in tutto il mondo – le molteplici sfide dell’epoca che stiamo attraversando.
Nella sua meditazione teologica pluridecennale, con umiltà, intelletto e amore Ratzinger si abbevera alla Fonte d’acqua pura del Mistero di Dio e del Mistero della figliolanza divina di Cristo, nel cui alveo riposa il mistero dell’essere persona dell’uomo, creato ad immagine e secondo la somiglianza di Dio. La testimonianza biblica e la fede dei Padri, a cui egli ritorna sempre di nuovo, ci documentano che Dio ha un Nome, che Egli “è Persona e cerca la persona; ha un Volto e cerca il nostro volto; ha un Cuore e cerca il nostro cuore”. Allo sguardo di Dio il salmista risponde cantando: “Il Tuo volto, Signore, io cerco / Non nascondermi il Tuo volto” (Sal 27[26], 8-9). Ed è il volto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che ci rivela il volto di Dio: “Il Dio vero di cui non può darsi alcuna immagine, ha nondimeno un volto e un nome, è Persona. La salvezza non sta più nel cadere nell’anonimato, ma in quel ‘saziarsi del Suo volto’, che al nostro ‘risveglio’ ci verrà concesso. A questo risveglio, a questo saziarsi il cristiano va incontro, tenendo fisso lo sguardo sul Trafitto, cercando il volto di Gesù Cristo”.
Dio, Comunione di Persone, creando il mondo, istituisce una relazione singolare, asimmetrica, poiché essa è Sua sovrana iniziativa: le creature ricevono consistenza dal Creatore, Egli, invece, non è definito da esse. L’uomo, creato nella Persona del Figlio, è posto nella relazione d’amore con la Comunione delle Persone divine e nella comunione con gli altri uomini. L’opera della creazione, poi, scrive Ratzinger, “non indica un lontano inizio”, ma è una relazione in atto che accade qui e ora (creatio continua).
La meditazione di Ratzinger è profondamente consonante con l’antropologia cristocentrica di Gaudium et spes: nel Mistero di Gesù Cristo morto e Risorto inizia a risplendere il mistero dell’uomo, nell’originaria unione della famiglia umana e nell’unità corroborante dei figli di Dio “in Cristo” (cfr. GS 22, 42); “Chiunque segue Cristo, l’Uomo perfetto, diviene anch’egli più uomo” (GS 41). Ratzinger afferma che Cristo è “l’uomo in cui l’umanità pregusta già il suo futuro e diviene sé stessa al grado massimo, giacché attraverso di Lui viene a contatto con Dio stesso”, e che Egli non è solo “un modello dietro al quale camminare, ma è lo spazio in cui viene incluso, nel quale può raccogliersi il ‘noi’ degli uomini verso il ‘Tu’ di Dio”.
All’uomo creato e redento in Cristo è dato di partecipare del realismo del Crocifisso Risorto, al di là di ogni dialettica di naturalismo e spiritualismo: “Resurrezione significa che Dio ha ottenuto potere sulla storia, che non l’ha abbandonata alle leggi della natura. Essa significa che Egli non è divenuto impotente nel regno della materia e della vita determinata della materia. Essa significa che la legge di tutte le leggi, l’universale legge della morte, non è tuttavia il potere ultimo sulla terra e la sua parola ultima. La cosa ultima, l’elemento decisivo, è e rimane Colui che è anche il Primo”.
Nella relazione di amicizia di Gesù Risorto con l’uomo e della sua con Lui ne va di tutto: per questo non devi preferire le cose grandi che Dio ti concede alla Sua dolce Presenza, a Colui che te le concede. Se te le vuole togliere, Egli non deve esserti di meno valore, perché noi dobbiamo amare Dio gratuitamente, senza contraccambio. E perché nessuna ricompensa è più dolce di Dio stesso. Al punto che, diversamente da quel che si pensa di solito, non si tratta di fare provviste, perché – osserva Ratzinger – la Grazia “è un concetto relazionale”: ciò significa che “Dio, nel Suo agire propriamente divino con noi, non dà niente di meno di Sé stesso. Il dono di Dio è Dio”. Qual è dunque l’unica causa di gioia dell’uomo? Questa: “Io so che il mio Redentore è vivo” (Giobbe 19,25). Tutto qui? Tutto qui. Gioia e speranza della Pasqua.
A fronte dello strisciante, feroce anti-umanesimo che pervade oggi l’Occidente e si erge sfrontato nella sua terribile statura – odio per l’uomo perché odio contro Dio (su questo dice le cose in chiaro il card. Robert Sarah, Si fa sera e il giorno ormai volge al declino, Cantagalli 2019) –, ciò che edifica è “cantare l’uomo” con la propria vita, ognuno nell’impegno che gli è chiesto e nelle relazioni di comunione nelle quali è posto.
Questo è innanzitutto il canto possente di un gigante come Benedetto XVI, poi è (ha da diventare) anche il nostro canto. Anche a noi difatti è dato e chiesto di edificare cantando e di cantare pieni di gioia, perché siamo nani sulle spalle di giganti. Che storia! La Storia. E ci siamo dentro anche noi.
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