Ribellarsi all’infinito o inchinarsi all’infinito

E rischiassimo davvero l'apocalisse? Covid e atomiche o no, il vero dilemma della storia si gioca nel sì (o no) alla persona di Cristo vivo e incontrabile nella sua Chiesa

Dunque, a non fare gli ottimisti a tutti i costi, possiamo dire che siamo messi come segue. Se putacaso un diavolo ceceno o della Wagner, o un gran ciambellano bielorusso, o chissà chi altro, gli scappa la mano e schiaccia il bottone proibito, la terra diventa ipso facto un fungo atomico, perché la partita in Crimea oggi non è più quella dei bersaglieri di Lamarmora che vi si intrufolarono su mandato dello spregiudicato Cavour armati di sciabole, trombette e fuciloni a retrocarica. Messo malissimo, ci dicono, è il pianeta stesso, surriscaldato, pieno di scarichi fin sopra l’atmosfera e sempre più deprivato di risorse. Terremoti, maremoti e pestilenze con caterve di morti ci sono sempre stati, ma l’atomica e lo stress ecologico e climatico, no.

Né mai c’era stata la possibilità di intervenire, manipolare, cambiare i fattori più naturalmente costitutivi dell’identità corporea della persona e della generazione ormai considerata scindibile, e scissa, dalla relazione sessuale. Anche la possibile evoluzione dell’intelligenza artificiale non lascia tranquilli nemmeno molti scienziati della materia, che hanno chiesto una moratoria, per assicurarsi almeno che non ci sfugga di mano un mostro capace di autodeterminarsi e fare di testa sua sfuggendo a ogni controllo umano.

Anche per uno che più distante da Cassandra non si può, figuriamoci dai catastrofismi apocalittici dei testimoni di Geova o dei complottisti globali da social media, può venire il dubbio: non è che tra il lusco e il brusco qui si rischia la fine del mondo? e/o la fine dell’umano?

Perché è pur vero che la modernità per lo meno occidentale e la scienza ci hanno fatto smettere, e menomale, di usare Dio come “jolly della nostra ignoranza” (Adrien Candiard, Qualche parola prima dell’Apocalisse), ma è altrettanto vero che esse non sono onnipotenti e che la storia non sembra affatto destinata sempre e comunque a quel progresso continuo e irreversibile su cui tutto l’illuminismo ha giurato e spergiurato.  E nel frattempo ha tolto Dio dalla scena della grande storia e l’ha collocato in un deismo spirituale senza Cristo, nell’ambito marginale della privata intimità sentimentale.

E allora del “Cristo centro del cosmo e della storia, redentore dell’uomo” della Redemptor Hominis di san Giovanni Paolo II, che ne è? Non è azzardato sostenere, come ha richiamato Prosperi, presidente di CL, che Cristo è colui che “ha cambiato il corso della storia”? Non sfuggirà che simili domande attengono non a una dialettica astratta ma a una domanda circa la personale necessità di essere utile al mondo, così compiendo se stessi.

E allora è valsa veramente la pena di prendere molto sul serio la proposta che padre Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, ha fatto predicando, in questo scorso week-end, gli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e liberazione. La proposta è già tutta contenuta nel titolo scelto, “Gli occhi fissi su Gesù, origine e compimento della fede”. Il metodo della conoscenza è fare bene attenzione all’Avvenimento reale, non quello di inerpicarsi su contorte dialettiche astratte.

Se non si sta a questo, la parola fede potrebbe apparire una scappatoia irragionevole. Una scappatoia che in sé e per sé non farebbe più neanche tanto scandalo, perché il mondo post-moderno vive di fedi (fasulle): nel progresso, negli esperti, nel superenalotto, nel leader politico uomo solo al comando di turno, nei social, nelle fake news, in beppegrillo e nell’amicizia neocentrista tra Renzi e Calenda… nelle fattucchiere: anche top manager e guru della finanza consultano maghe e indovini. Lo scandalo è proprio Cristo. E infatti il dilemma della storia non è spiritualità sì o no, religione sì o no, e simili: su questo ci si può accordare mediando. Il dilemma è Cristo sì o no. Accettare o non accettare l’offerta gratuita dell’Amore di Dio.

La postura corretta è quella del vecchio Simeone del Vangelo, che nel bambino di 40 giorni portato al tempio riconosce il messia. Simeone uomo giusto perché desidera la giustizia come consolazione per tutto il popolo, e uomo pio perché consapevole di non poter realizzare da sé la giustizia, ma di doverla attendere da un Altro come promessa dell’antica alleanza, e riconoscerla. “I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli”. E quindi “ora lascia che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola”. La fine dei tempi è ogni momento; la fine della storia è il fine della storia, il Regno di Dio, il mio abbraccio a Cristo che compie in pienezza il mio io, perché ha vinto con la morte la paura della morte. È quell’unità altrimenti impossibile fra quelli che riconoscono Cristo presente qui e ora, unità che si offre a tutti.

Tutto il dramma della vita, e della storia, incomincia e si verifica in me personalmente, ed è in sostanza se confidare ultimamente nella propria immaginazione e nella propria prassi o se pensare e agire lasciando spazio a quell’Altro che mi fa. Ribellarsi all’infinito o inchinarsi all’infinito. A dribblare questa alternativa, senza barare, non ce la può fare neanche Leo Messi.

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