Dalle istituzioni europee è arrivato per l’Italia un nuovo richiamo a ratificare la riforma del Mes. Questa volta, come ci spiega Giulio Sapelli, in modo più subdolo. Infatti, durante la conferenza stampa di presentazione della proposta per rafforzare i meccanismi di gestione delle crisi bancarie, il Vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha detto che “più è lungo il processo di ratifica e più dovremo attendere il paracadute” in caso di crisi bancarie, dato che il Mes è chiamato a fornire un sostegno al Fondo di risoluzione unico. «È vero che quanto accaduto ad alcune banche regionali americane nelle scorse settimane fa temere una crisi che può essere grave come quella di 15 anni fa, ma non si può usare questa preoccupazione per spingere alla ratifica della riforma del Mes, un fondo che non è stato creato tanto per intervenire nelle crisi degli istituti bancari quanto degli Stati», sottolinea l’economista, già ordinario all’Università Statale di Milano.
Come va affrontato allora il rischio di una crisi bancaria in Europa?
Occorre andare avanti nella costruzione dell’unione bancaria, oltre che muovere i primi passi per un’unione fiscale, e creare un fondo di tutela interbancario europeo che nulla ha a che vedere con il Mes.
Quello di Dombrovskis è l’ultimo di una serie di richiami arrivati dalle istituzioni europee all’Italia perché provveda a ratificare la riforma del Mes. Perché, secondo lei, c’è questa insistente pressione sul nostro Paese?
Perché con la ratifica della riforma del Mes si avrebbe un ulteriore sistema di controllo, un’ulteriore arma per continuare a portare avanti una politica di austerità e per evitare di riformare i Trattati. Il vero problema è che l’austerità, come abbiamo visto anche negli anni scorsi, finisce per stroncare le possibilità di crescita dell’economia rendendo tra l’altro impossibile ridurre il rapporto debito/Pil. Ed è un peccato, come ha giustamente osservato il Professor Piga, che di questa austerità ci sia traccia anche nel Def recentemente approvato.
Sarebbe bene, allora, evitare di ratificare la riforma del Mes…
Così com’è stato scritto e riformato il Mes continua a essere non solo un ircocervo costituito da una società privata in cui gli azionisti sono però gli Stati e dove prevalgono, quindi, i rapporti di forza che già si vedono nell’Ue, ma resta tecnicamente una trappola per topi. In caso di suo intervento per una crisi di un Paese è previsto un aggiustamento strutturale, che loro chiamano riformista, ma che è di fatto neoliberista, che elimina ogni possibilità di crescita e priva degli asset più importanti. Abbiamo visto, del resto, che le soluzioni perseguite col Mes sono state catastrofiche in Grecia e possono esserlo quindi in altri Paesi.
L’Italia può resistere al pressing che arriva dalle istituzioni europee sulla ratifica del Mes?
In Italia c’è finalmente un Esecutivo espressione del voto popolare che se vuol difendere l’interesse nazionale, che va oltre la destra e la sinistra, deve continuare a prendere tempo, finché non si modificheranno i Trattati, resistendo alle pressioni e non ratificando il Mes. Deve del resto far riflettere il fatto che anche con il Governo Draghi non si è arrivati alla ratifica.
Può spiegarci meglio questo punto?
Credo che Draghi interpretasse il sentire della grande finanza e della cultura bipartisan nordamericana contraria a una politica di eccessiva austerità in Europa, che toglierebbe la crescita a un alleato e a un componente della Nato strategico che non può continuare a ridursi in povertà come sta facendo l’Italia da 20 anni.
Lei ha parlato di riforma dei Trattati, ma sul tavolo per ora c’è solo la riforma del Patto di stabilità…
Sarebbe già un passo molto importante.
La Germania ha da poco presentato una proposta alternativa a quella della Commissione europea. Cosa ne pensa?
Sposo totalmente l’opinione del Professor Tria, che ha recentemente spiegato come questa proposta sia meno “da falco” di quanti sembri e sicuramente migliore di quella avanzata dalla Commissione europea alla fine dello scorso anno. Si tratta di scegliere il minore dei mali.
Come si spiega questa posizione non da falco della Germania?
Dopo il colpo mortale ricevuto tramite l’incrinatura dei rapporti energetici con la Russia per via delle pressioni nordamericane dopo l’invasione dell’Ucraina, la Germania comincia a intravvedere un rischio per la propria capacità industriale. Senza dimenticare le problematiche del sistema bancario che ogni tanto riemergono, come si è visto recentemente con Deutsche Bank. Berlino, quindi, avrebbe tutto da perdere dal tenere una posizione da falco.
Non pensa che nella riforma del Patto di stabilità occorra fare in modo che gli investimenti pubblici siano scorporati dal deficit?
Sì, sarebbe un’ottima cosa. In alternativa bisognerebbe fare in modo che la Cdp diventasse come la tedesca Kfw, una sorta di holding industriale in grado di effettuare investimenti infrastrutturali senza che questi rientrino nel perimetro della finanza pubblica.
Per arrivare a un risultato simile bisognerebbe riuscire ad avere la stessa forza politica della Germania…
Finalmente abbiamo un Governo eletto, non di tecnici: faccia sentire la sua forza.
(Lorenzo Torrisi)
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