I nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) in Sanità, dopo essere stati adeguati nel 2017, oggi con oltre tremila, tra vecchie e nuove, prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica, con il nuovo Decreto che ne aggiorna le tariffe, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, entrano operativi ed effettivi nel sistema del Ssn dal 1 gennaio 2024. I ritardi nella proroga alle tariffe erano sostanzialmente dovuti alla mancanza adeguata di risorse, ma se pur con notevoli pareri non conformi, l’impatto complessivo della proposta tariffaria risulta pari a 379,2 milioni di euro per la specialistica ambulatoriale e a euro 23,4 milioni per la protesica, per un totale di 402,6 milioni di euro.
Per la copertura di tale fabbisogno verrà utilizzata quella già prevista nel Dpcm Lea 12 gennaio 2017, pari a 380,7 milioni di euro e, per far fronte ai maggiori costi associati all’odierna relazione tecnica pari a 21,9 milioni di euro, si usa la quota parte del finanziamento di cui all’articolo 1, comma 288 della legge n. 234/2021 (cioè la Legge di bilancio 2021 che stabiliva “finalizzato l’importo di 200 milioni di euro, a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario nazionale standard”).
Il nuovo nomenclatore provvede al necessario e atteso aggiornamento disciplinato dal decreto ministeriale 22 luglio 1996, includendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed eliminando quelle ormai obsolete. Dalla Procreazione medicalmente assistita fino alla consulenza genica fino a prestazioni di elevatissimo contenuto tecnologico come l’adroterapia o di tecnologia recente come l’enteroscopia con microcamera ingeribile e la radioterapia stereotassica e tante altre prestazioni. E ancora, dagli ausili informatici e di comunicazione (inclusi i comunicatori oculari e le tasIere adaEate per persone con gravissime disabilità) agli apparecchi acustici a tecnologia digitale, attrezzature domotiche e sensori di comando, fino ad arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo.
È bene ricordare ai fini della consapevolezza di ciò che significa il via libera a tale provvedimento bloccato dal 2017, probabilmente non solo per ragioni politiche ma di scelta sul collocamento delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale in sofferenza per la crisi energetica e Covid, che già nel febbraio 2023 il Cipess (Comitato per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) ha approvato il riparto delle risorse statali stanziate per il fabbisogno sanitario fra Regioni e Province autonome per l’anno 2022, pari a un totale di 125.980 milioni di euro che include appunto la quota indistinta di 764 milioni da destinare al fondo farmaci innovativi e oncologici, di cui 119.724 milioni di euro di finanziamento indistinto nel medesimo anno 2022.
Al finanziamento della sanità pubblica italiana mancano almeno 50 miliardi di euro (al minimo) per avere un’incidenza media sul Pil analoga agli altri paesi Ue. Rispetto ai quali la spesa sanitaria del nostro Paese registra, nel 2021, una forbice del -38% circa (-12% di spesa privata e -44% circa di spesa pubblica). Ma il calcolo è appunto in difetto. La spesa sanitaria in Italia dal 2000 al 2021 è cresciuta del 2,8% medio annuo, il 50% in meno che negli altri Paesi Ue di riferimento e anche durante la pandemia la spesa è stata meno dinamica. E, quindi, per recuperare il passo e garantire la stessa crescita degli altri Paesi europei, oltre alla crescita annua del finanziamento di 10 miliardi di euro per 5 anni servirebbero almeno altri 5 miliardi di euro. Dunque per superare il gap con l’Europa l’unica possibilità è che cresca tutto il Paese trascinando nella crescita anche il comparto sanitario.
Nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media Ue dell’82,9%. La spesa privata incide per il 2,3% sul Pil (oltre 1.700 euro a nucleo familiare) contro una media Ue del 2%, oltre un miliardo di spesa per farmaci compresi tra quelli rimborsabili dal Ssn, “scaricati” sulle famiglie.
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