Uno dei punti di maggiore attenzione in questo particolare tempo storico è la cura degli anziani, soprattutto dal punto di vista sanitario: la crisi demografica porta conseguentemente un calo dei lavoratori nel settore, al netto della problematica legata al numero chiuso di vari percorsi di studi.
È importante evidenziare che l’invecchiamento della popolazione porta con sé una maggiore fragilità, come si è visto nella pandemia, dove le persone colpite in modo più violento sono state, nella maggior parte dei casi, gli anziani: si può ipotizzare che a fronte di una popolazione più longeva siano necessarie più prestazioni sanitarie di diversa intensità. In Italia in particolare la speranza di vita è di 82,6 anni, mentre sono 22.000 gli ultracentenari; non solo, un cittadino su quattro ha più di 65 anni.
La cura dell’anziano è inerente alla tematica della dignità della persona in tutte le fasi della vita: «Spesso la società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto, non accoglie la longevità come un dono; anzi, spesso lo respinge, considerando gli anziani come non produttivi, inutili […]. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune» (Benedetto XVI, discorso, 5 aprile 2008).
Ad accentuare il tema della fragilità e della sanità, evidenziandone la relazione con la denatalità (indice di fertilità pari a 1,27) e con il tema della previdenza è l’indice di dipendenza della popolazione anziana, cioè il rapporto tra over 65 e persone in età lavorativa, oggi pari al 40,9% e che è previsto arrivare al 74,4% nel 2050 (dati Ocse): l’aumento è dovuto alla diminuzione del denominatore, “giovane”, e all’aumento del numeratore, “vecchio”.
È ovvio che la presenza di ospedali e pronto soccorso è necessaria per accogliere le persone fragili con patologie, soprattutto per i casi in cui non è possibile curare a domicilio. Allo stesso tempo le cure domiciliari (Adi) sono infatti una possibilità efficace ed efficiente, che comprende la presa in carico di pazienti gravi e gravissimi: così facendo diminuisce l’accesso agli ospedali liberando posti letto, riducendo altresì le liste d’attesa.
Curare a casa, quando possibile, è una forma di dignità per il paziente: le cure a domicilio consentono di rimanere accanto ai propri affetti, anche nei casi in cui si necessita di cure palliative, fattore da non sottovalutare: la pandemia ha purtroppo evidenziato la sofferenza del rimanere da soli, magari in fin di vita, in una camera d’ospedale (cfr. I. Carbajosa, Testimone privilegiato, Itaca, 2020).
Osservando la realtà di Milano si possono trarre diversi spunti interessanti ed esemplificativi rispetto al bisogno sanitario degli anziani e all’Adi: il 52,7% delle famiglie è monoparentale e il 22,7% è composta da due membri (Istat), mentre il costo della vita non offre possibilità di creare facilmente una famiglia: tra gli ostacoli il maggiore è quello della bolla immobiliare (Il Sole 24 Ore).
Aumento della longevità legata alla crisi demografica, difficoltà economiche e famiglie monoparentali o poco numerose mettono a rischio il tessuto sociale della città, ma si potrebbe estendere il discorso all’intero Paese: la mancanza di una persona in casa che si prenda cura del malato rende difficile allo stesso accedere all’Adi. Sono infatti richieste delle azioni, anche semplici, impossibili per un paziente non deambulante ma curabile a casa. La cura a domicilio è un ricovero a tutti gli effetti e necessita della presenza di un caregiver: la difficoltà di Milano è che questi pazienti faticosamente hanno accesso a un servizio di cui necessitano, se non ricorrendo a una rete sociale sempre più esile.
Circa il 65% (dati del 2022) dei pazienti Adi supera gli 80 anni: questi anziani nella maggior parte dei casi hanno bisogno di aiuto nelle faccende domestiche e nelle attività della giornata, comprese quelle più banali. Al tema della fragilità si interseca anche il dramma della solitudine, acuito dalla denatalità, che inevitabilmente indebolisce i rapporti tra le generazioni, così che sempre più anziani non hanno figli e/o nipoti che possono essere un sostegno per loro.
Anche questa è, in fondo, la cultura dello scarto radicata nella nostra società, più volte denunciata dal Papa: «L’intera società deve affrettarsi a prendersi cura dei suoi vecchi – sono il tesoro! -, sempre più numerosi, e spesso anche più abbandonati. Quando sentiamo di anziani che sono espropriati della loro autonomia, della loro sicurezza, persino della loro abitazione, comprendiamo che l’ambivalenza della società di oggi nei confronti dell’età anziana non è un problema di emergenze occasionali, ma un tratto di quella cultura dello scarto che avvelena il mondo in cui viviamo […]. Come mai la civiltà moderna, così progredita ed efficiente, è così a disagio nei confronti della malattia e della vecchiaia, nasconde la malattia, nasconde la vecchiaia?» (Francesco, Udienza, 1° giugno 2022).
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