Secondo il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, il sindacato insieme a tutti gli altri (Cisl e Uil) muoverà le prime proteste a maggio, mese in cui si festeggiano i lavoratori proprio il primo del mese, a causa dell’immobilismo governativo per quanto concerne il tema previdenziale.
Riforma Pensioni 2023: l’importanza di un salvagente
La voce dei sindacati è dunque ricomparsa proprio in vista della festa del 1 maggio ed è inevitabile che costoro decidessero di trattare dei temi di cui Il Sussidiario parla ormai da tempo, cioè della necessità di introdurre delle misure correttive, così da mettere un freno alla sofferenza sociale ed economica che sta per abbattersi in questo paese sin dai prossimi due anni, non dal 2035, anno in cui ci saranno più pensionati che lavoratori.
La preoccupazione del rappresentante sindacale concerne il fatto che nel Def non si facesse minimamente accenno alla possibilità di rifinanziare quota 103, la misura ponte, l’ennesima per la verità. Tuttavia un simile allarmismo appare strumentale perché il governo ha tempo almeno fino a settembre per prendere una decisione e comprendere in che modo elaborare un correttivo che possa costituire un freno in merito ai lavori della commissione, dell’osservatorio sulle pensioni istituito dal Ministero del lavoro guidato dalla Calderone.
Riforma Pensioni 2023: cos’è la pensione contributiva di garanzia
Improvvisamente il sindacato, dopo aver guardato con favore a una quota 41 universale, vede con disgusto l’immobilismo del governo. Eppure si sono accorti che una quota 41 rischia di lasciare inchiodati al lavoro i giovani anche in un’età di gran lunga superiore ai 70 anni.
Ferrari ammette che se il governo dovesse spostare a settembre il rifinanziamento di quota 103, magari con qualche diminutivo in termini di risorse, non sarebbero disposti ad accettarlo. I sindacati dunque improvvisamente vorrebbero vedere concretizzate le loro proposte in una legge: ma quale? Per adesso non c’è una bozza coi contorni definiti, visti che dal ministero rimbalzano qualsiasi proposta.
Sicuramente però il sindacato si auspica una sorta di “pensione contributiva di garanzia”, cioè il cosiddetto salvagente. Come verrebbe finanziato se dal 2035 il numero dei lavoratori avrà un rapporto di 1 a 2 contro i pensionati? E’ qui l’altra incognita. Il fatto che le coperture non vi siano nemmeno per abbassare l’età pensionabile, non è un mistero.
Se dunque Ape Sociale non è stato rifinanziato e riconfermato e Opzione Donna è stata invece depotenziata, i sindacati in maniera unanime sono convinti che l’immobilismo non possa pregiudicare l’esistenza di un correttivo, uno di quelli che si era auspicata la stessa Elsa Fornero quando parlava a Di Martedì dell’impossibilità di cambiare la sua riforma che invece sarebbe rimasta l’unica veramente strutturale che avrebbe portato il sistema previdenziale nella mutazione entro il 2030, quando cioè il sistema sarebbe stato integralmente contributivo.