“La Partecipazione al Lavoro”: sotto questo nome la Cisl ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare, su cui il sindacato di via Po ha avviato una raccolta di firme su tutto il territorio nazionale. Il punto di partenza è l’articolo 46 della Costituzione nel quale i padri costituenti hanno introdotto nella Carta che definisce il patto nazionale il concetto di democrazia economica. La questione rientra tra le battaglie storiche promosse dalla Cisl che su di essa ha fondato nei decenni la propria strategia politico-sindacale.
I contenuti, detti in breve, si compendiano nella partecipazione gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alle imprese e, quindi, ad esempio, nella presenza dei lavoratori nei Consigli di amministrazione, in nuovi modelli organizzativi e decisionali. La sostanza politica è che i 9 titoli e 22 articoli della proposta hanno l’ambizione di cambiare profondamente il modello economico italiano.
L’evento colpisce per una somma di motivi. Anzitutto per il momento in cui esso si colloca. In primis perché non vi è chi non veda, mi si passi la prosa ottocentesca ma ormai non si capisce più come si debba scrivere per essere veri italiani, che da mesi siamo impegnati a seguire (e nei casi peggiori perfino a prendere posizione in) discussioni che per contenuti e toni si lasciano agevolmente collocare tra il farlocco e l’ignorante.
In secundis, per esprimerci alla Totò, perché mentre nel mondo infuriano battaglie drammatiche l’Italia è impegnata in epici scontri tra soggetti dubbiosamente dotati intorno ad argomenti etimologico-semantici che per incidenza sulla realtà stanno a fagiolo tra il nulla e il niente. Insomma, abbiamo paura che questa proposta di legge popolare possa essere caduta nel momento sbagliato: non per il tema in sé, che anzi da tempo aspettava, come i mitici personaggi pirandelliani, un autore per prendere vita, ma per il desolante panorama che la circonda. Non vorremmo, insomma, che la tanto sospirata realizzazione del dettato dell’articolo 46 della Costituzione in base al quale “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende” finisse per confondersi con uno qualunque dei parti delle ariostesche fantasie parlamentari.
Intendiamoci bene: non temiamo che la moneta cattiva scacci la moneta buona e che quindi si possa confondere questa iniziativa di legge popolare con una qualunque tra le tante indimenticabili proposte di legge di cui le televisioni ci danno quotidianamente contezza, ma temiamo che su di essa si farà calare un imbarazzato silenzio e che il popolo (popolare = popolo, mementote?), finisca per non accorgersi che ha l’opportunità di scegliere tra un modello economico e fiscale veramente sussidiario e l’attuale coacervo caotico nel quale più che la solidarietà vige un feudalesimo mal inteso in base al quale chi sbraita più e meglio dice cose certamente sensate e ha innegabilmente ragione.
Il sistema partecipativo, sia pure coniugato in modo parzialmente diverso da come lo intende la Cisl, da tempo è in vita in un paesucolo come la Germania che, lo comprendiamo, non può mica pretendere di essere confrontato a noi per importanza internazionale, ricchezza e forza politica, ma non potremmo magari copiare qualcuna di quelle ‘strane’ abitudini che lo hanno reso tanto differente da quel Bel Paese (o Belpaese?) che facciamo finta di essere?
A ragione Luigi Sbarra, il segretario di via Po, ha ricordato che il tema di fondo è quello di “favorire una svolta nell’economia del Paese, grazie a un diverso rapporto fra lavoratori e imprese pubbliche e private”: per questo è decisivo che la proposta di legge arrivi in fondo!
L’idea d’altronde è semplice: non smantellare la proprietà dei mezzi di produzione come ancora qualcuno chiede, bensì costruire un nuovo sistema economico attraverso la semplice informazione ai dipendenti, la codecisione sull’organizzazione del lavoro, la partecipazione agli utili e magari anche al capitale delle aziende, l’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli delle società.
Chi poi studia e legge sa che questa è nei fatti quella terza via economica di cui vi è ampia traccia in molti documenti papali, a cominciare dalle encicliche che i pontefici hanno dedicato ai temi del lavoro e dell’economia: non sarà un grande argomento, ma lasciateci l’illusione che esso possa almeno tangenzialmente provocare qualche brivido in chi pensa che essere Stato significa anzitutto solidarietà e sussidiarietà o nel ristretto novero di coloro che non trascelgono nelle suggestioni pontificali quelle da seguire e quelle da dimenticare!
Realizzare tecnicamente quanto previsto dalla proposta poi non sarebbe neppure complesso: come detto basterebbe guardare a quanto avviene in Germania oppure, Italia First!, a quanto si sta già sperimentando in almeno 40 grandi e medi gruppi industriali – come Luxottica, Piaggio, Leroy Merlin per limitarci a qualche nome – dove esistono esperienze, diverse tra loro ma tutte positive, di partecipazione contrattata tra sindacati e imprenditori.
Ottima, pertanto, la scelta della Cisl di tentare di estendere tali esperienze, di farne esempi di normalità per le relazioni sindacali. Prevedere la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese renderebbe un enorme servizio alla democrazia economica nel nostro Paese: si pensi solo all’apporto che da questi organismi misti potrebbe venire in termini di conoscenza delle reali situazioni economiche e patrimoniali, di sviluppo dei piani industriali o semplicemente di incremento della produttività e della redditività.
Certo, ci rendiamo conto che argomenti di questo genere siano infinitamente meno interessanti della diatriba intorno al concetto di Patria o del dotto confronto intellettuale intorno all’uso nei documenti ufficiali della Patria Nostra del Lei e del Voi, ma osiamo sperare (contro ogni spem) che forse, magari, potrebbe darsi che, in qualche posto, talora, qualcuno, possa anche decidere di iniziare a usare le sinapsi e si renda conto che perdere quest’occasione per gli italiani lavorativamente attivi (che non sono poi così tanti, par di capire) e non, sarebbe deleterio tanto quanto perdere i miliardi che potrebbero arrivarci da Bruxelles.
Anche se, vista l’aria che tira, temiamo che la distribuzione degli utili aziendali ai dipendenti, i “piani di azionariato” con l’attribuzione su base volontaria ai lavoratori dipendenti di strumenti finanziari per il possesso di quote di capitale delle imprese, l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del cosiddetto voting trust, cioè di un fondo fiduciario cui i lavoratori possono affidare le loro quote azionarie per farle “pesare” nelle votazioni delle assemblee societarie, siano considerati dal mainstream e da chi paga la pubblicità sui media temi meno interessanti e coinvolgenti di una qualunque polemica sui rave, sui grembiuli a scuola, sulle figurine del Duce, sui piani quinquennali comunisti degli anni Cinquanta e dunque l’iniziativa finisca per essere emarginata dalla discussione quotidiana da chi in cuor suo spera nel fallimento dell’iniziativa.
D’altronde questa è la tipica proposta che rischia di essere sgradita a tanti e soprattutto a quelli che nell’attuale ordinamento sguazzano a piacimento: chi perché convinto che meno il popolo interviene in certe questioni e meglio è, e chi perché auspica che certi cambiamenti nel sistema economico produttivo si fanno solo dopo adeguati scioperi generali.
Pessimismo? No anzi ottimismo della ragione. È vero o no che in questi giorni dopo aver condonato il condonabile si sta ragionando non più di flat tax (probabilmente perché non si devono usare inglesismi e dunque si sono buttati via acqua sporca e bambino) bensì di sgravi, detassazioni, ecc.? Se sì, comprendiamo che si sia accolto con un certo fastidio quanto previsto dall’articolo 19 della proposta di legge della Cisl nel quale si prevedono agevolazioni fiscali per i dipendenti e le imprese stesse che promuovono modalità partecipative. Guai a disturbare il conducente (e magari anche i passeggeri): anche quando costui più che a guidare pensa a usare il telefonino! Finiamo comunque con un’altra nota positiva. Realizzare questa proposta costerà all’erario circa 50 milioni di euro. L’idea della Cisl è di attingerli dai soldi del condono edilizio: splendido esempio di come si possa far buon uso anche di una norma discutibile!
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