“Non sanno o non se ne rendono conto”. Ha il sapore di una maledizione biblica la reazione a caldo del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di fronte alla sconcertante magra figura rimediata giovedì dai deputati della coalizione: il miraggio del weekend lungo ha favorito la fuga dei parlamentari verso le mete vacanziere.
E così la maggioranza non ha raccolto i voti sufficienti per approvare la risoluzione sullo scostamento di bilancio previsto nel Def, costringendo l’Esecutivo a riformulare in tutta fretta un testo quasi identico da votare in extremis per salvare lo scostamento di bilancio necessario per procedere al taglio del cuneo fiscale, in pratica l’unica misura di politica economica che l’esecutivo può concedersi in questa stagione di vacche sempre più magre. A fronte della ricca Germania che ha deliberato un forte aumento dei salari dei dipendenti pubblici, il Bel Paese deve tirar la cinghia.
In extremis, comunque, si è messa una toppa, a scapito della mini-vacanza dei parlamentari, per rimediare con un nuovo voto e così consentire allo stesso Giorgetti di presentarsi senza ritardi al confronto con i colleghi europei sui dossier più caldi. Ovvero: 1) l’avvio della discussione sulla riforma del Patto di stabilità, con prevedibile confronto/scontro con la Germania, per niente contenta della discrezionalità concessa ai Paesi più indebitati per gestire il risanamento dei conti ; 2) lo stato di attuazione del Pnrr, con l’incertezza che cresce su tempi e modalità degli impegni e delle eventuali rinunce. Il Governo ha detto che entro breve presenterà la documentazione, ma nel frattempo sono emerse le difficoltà nel portare a termine i piani di investimento già avviati e nel programmare la spesa futura; 3) non meno importante, la ratifica del Mes, il meccanismo di intervento dell’Unione europea fermo perché manca solo la firma dell’Italia che invoca una revisione del testo. Non sarà facile per Giorgetti spiegare le ragioni del rifiuto italiano a far decollare quel che è un fondo di intervento che altri Paesi, vedi Germania, vorrebbero utilizzare per il rilancio delle banche.
Vedremo se e come il ministro dell’Economia supererà le diverse prove del fuoco. Ma per ora val la pena di tornare alle parole dell’incredulo Giorgetti: la figuraccia della maggioranza, ci assicura, non nasce da ragioni di opposizione politica, bensì dall’ignoranza. Anzi, il che è peggio, dalla sottovalutazione suicida dei problemi più urgenti del Paese. Per questo urge un ripasso in vista delle scadenze dei prossimi giorni, quando si dovranno affrontare più prove del fuoco, con una posta in gioco davvero molto alta. Se il Paese si rivelerà incapace di tener fede agli impegni presi in sede comunitaria, il rischio è di trovarsi alle prese con un’impennata del debito pubblico e dello spread capace di vanificare gli sforzi di questi anni.
Non è il caso di sottovalutare l’allarme lanciato negli ultimi giorni da Standard & Poor’s e Moody’s sulla base delle valutazioni degli analisti che in privato non escludono un’impennata di almeno un punto percentuale nei tassi di mercato entro l’estate con l’aumento dello spread fino a 250 punti. È lo scenario peggiore che potrebbe diventare realtà se, in un momento di stress geopolitico e finanziario (inflazione e tassi ancora in crescita, emergenza liquidità per le crisi bancarie) i bond vigilantes, cioè gli specialisti del reddito fisso a caccia di anomalie per loro occasione di ricchi profitti decidessero di inquadrare l’Italia nel mirino. E così le due agenzie, senza voler assecondare un qualsiasi complotto, hanno sottolineato che il rating dell’Italia presenta, a breve, diversi snodi ad alto rischio.
Il primo passaggio delicato cade martedì prossimo, subito dopo il vertice in terra di Svezia, quando verranno pubblicati i dati di aprile sull’inflazione nella zona euro. Se la corsa dei prezzi al consumo non dovesse mostrare un chiaro segnale di rallentamento, i falchi che in questo momento stanno guidando la politica monetaria della Bce potrebbero ottenere non soltanto un altro rialzo di cinquanta punti base dei tassi, ma anche, l’azzeramento del programma di riacquisto dei bond della linea ordinaria. In questo caso già a luglio, quando scadranno oltre ventisei miliardi di euro di obbligazioni in pancia alla banca centrale, ci sarà un primo forte drenaggio di liquidità. Christine Lagarde, in caso di inflazione ancora molto alta, potrebbe avere poche ragioni per opporsi a uno stop al reinvestimento a partire da giugno (fino a 15 miliardi/mese).
A fine giugno, poi, entra in gioco un’altra scadenza: scade l’ultima tranche dei prestiti a condizioni ultraagevolate Tltro. Sono 477 miliardi di euro che vanno ridati indietro a Francoforte. L’argomento riguarda all’apparenza le banche, ma un qualsiasi stress sul sistema, come si è visto, rischia di scaricarsi sui segmenti più fragili della periferia dei titoli di debito.
È in questa cornice, non facile ma governabile, che si terrà il confronto politica tra Roma e Bruxelles in vista dell’erogazione della rata di giugno del Pnrr, il passaggio chiave per ritrovare quel clima di fiducia necessario per evitare che i temporali di stagione non si trasformino in tempeste. No, non è più tempo di weekend lunghi.
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