Respiro di sollievo per il comparto zootecnico italiano. Con 36 voti a favore, 8 contrari e 2 astenuti, la Commissione ComAGRI ha avvallato la proposta di revisione della Direttiva sulle Emissioni industriali, che nella sua prima versione portava a equiparare gli allevamenti, anche di piccole/medie dimensioni, alle attività industriali.
Ovvero proponeva di adottare per le stalle le stesse regole ambientali che valgono per le produzioni più inquinanti, obbligando anche gli allevamenti di minori dimensioni a sottomettersi a un regime di autorizzazioni e a implementare pratiche produttive sempre più stringenti.
Il documento approvato, che confluirà nel rapporto principale dell’Europarlamento, prevede un sostanziale status quo rispetto alle norme esistenti, escludendo dal raggio di azione della norma gli allevamenti bovini ed eliminando ogni ulteriore onere per suini e pollame. Di fatto, dunque, la revisione segna un punto a favore per il nostro comparto nazionale, come conferma la reazione ufficiale di Coldiretti. “L’esenzione riconosciuta agli allevamenti bovini – afferma il presidente Ettore Prandini – salva un settore cardine del Made in Italy e va incontro alle richieste di Coldiretti che per prima aveva denunciato l’assurdità scientifica di paragonare le stalle alle fabbriche e avviato una campagna di sensibilizzazione. Si tratta di un pronunciamento che va contro la proposta della Commissione europea di ampliare le attività coperte agli allevamenti di bovini da 150 capi in su, la quale potrebbe portare alla perdita di posti di lavoro con la chiusura di molti allevamenti di dimensioni medio-piccole, minando la sovranità alimentare, con il conseguente aumento della dipendenza dalle importazioni di prodotti animali da Paesi terzi, che hanno standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale molto più bassi di quelli imposti agli allevatori dell’Unione. O, ancora peggio, e di spingere verso lo sviluppo di cibi sintetici in provetta, dalla carne al latte cibi sintetici”.
Il voto ottenuto in ComAGRI ha insomma una portata di ampio raggio poiché si candida a dettare la linea di indirizzo che segnerà l’evoluzione del settore. E questo perché incide su almeno tre questioni di fondo. Innanzitutto, scardina l’idea di equiparare gli allevamenti alle attività industriali, una posizione che “appare ingiusta e fuorviante – afferma il presidente di Coldiretti – rispetto al ruolo che essi svolgono nell’equilibrio ambientale e nella sicurezza alimentare in Europa”. In secondo luogo, supera “un approccio ideologico – continua Prandini – fondato su dati imprecisi e vecchi che va stigmatizzato, anche perché potrebbe avere impatti negativi sull’ambiente con la perdita di biodiversità, paesaggi e spopolamento delle aree rurali”. Infine, riconosce “gli sforzi che gli allevatori stanno compiendo per aumentare la sostenibilità delle loro aziende che, su scala globale, sono già quelle che registrano le migliori performance in termini di impatto ambientale e mitigazione dei cambiamenti climatici”, conclude Prandini. Un punto caro anche a Tommaso Battista, presidente di Copagri: “Giova ricordare che l’Italia contribuisce ad appena l’1% delle emissioni mondiali di anidride carbonica, pari complessivamente a circa 400mila tonnellate; di questa cifra, appena il 5% deriva dall’attività zootecnica e, in generale, dal Primario, con una incidenza sensibilmente inferiore alla media comunitaria dell’11-12%”.
La partita però non può ancora dirsi conclusa. “Grazie al lavoro della Commissione Agricoltura – afferma Paolo De Castro, relatore per il Gruppo S&D in commissione Agricoltura del Parlamento europeo – abbiamo bilanciato una proposta che non prendeva sufficientemente in considerazione la dimensione sociale ed economica delle nostre stalle e dei nostri allevamenti. Ora la palla passa alla Commissione Ambiente, che dovrà prendere in dovuta considerazione il testo approvato oggi, quando voterà la propria posizione a fine maggio”.
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