Cina addio. Sì, sembra giunto il momento della riconquistata ragione nelle relazioni internazionali italiche, dopo sbandamenti e cadute della consapevolezza che uno Stato continua a riprodurre la sua egemonia – e quindi la nazione – solo nel riconoscimento del suo interesse prevalente, pena la decadenza. E la decadenza inizia là dove tutto inizia, ossia dalla politica estera. E dove tutto finisce: sempre la politica estera, ossia dalla collocazione internazionale della nazione. Nazione che esiste perché esiste la storia, anche se i cittadini della nazione non lo ricordano più o non l’hanno mai saputo, ignari della storiografia.
Per questo si sono formate, con le relazioni internazionali, le coorti degli ambasciatori, ministri della nazione e dello Stato insieme. La loro presenza implica il riconoscimento della nazione da parte di altri Stati: un riconoscimento che segnala la necessità di un rapporto che si ponga oltre la pura relazione di potenza, che esiste pur che esistano gli Stati. L’ambasciatore porta con sé, invece, un riconoscimento anche della nazione, ossia della potenzialità egemonica dello Stato e quindi delle classi dominati e dirigenti della nazione in cui l’ambasciatore giunge a risiedere per comporre una relazione non solo di potenza, ma di condivisione dei protocolli, quali che siano le differenze che possano sorgere tra le classi politiche e quelle economiche.
Per questo è di grande interesse la notizia che gli Usa si sono decisi a compiere i passi necessari per nominare il loro ambasciatore in Italia, dopo anni di assenza. Questo non ha voluto dire, come si diceva prima, che non vi siano stati rapporti tra Stati e quindi tra economie e burocrazie, anche militari, ma che quei rapporti si svolgevano in una sospensione dei rapporti tra nazioni, ossia in assenza di una condivisione dei progetti egemonici delle due nazioni e dei due Stati.
La questione dirimente, l’ho affermato più volte su questo luogo beato di discussione che è Il Sussidiario, era ed è ancora oggi, sino a quando l’ambasciatore non sarà giunto, la questione dei rapporti con la Cina, dopo la firma del famoso memorandum sulla Via della Seta, unica nazione, l’Italia, a firmare un documento di tal fatta tra gli Stati del G7 e dell’Ue. E unico Stato ad aver ricevuto nelle sale della presidenza dello Stato in questione il funzionario apicale – in politica estera – del Pcc per discutere… di politica estera, appunto, senza che vi fosse nel medesimo Stato… un ambasciatore. Ci vorrebbe la penna di Raymond Aron per esprimere l’eccezionalità disarmante di un avvenimento del genere.
La macchina si sta rimettendo in moto. Il segnale è chiaro e forte e coincide non a caso con la nomina del nuovo ambasciatore italiano in Cina, il quale porterà una matura esperienza e una visione dei rapporti di potenza assai diversa da quella del passato.
E non sono mancate altre dimostrazioni di questo movimento diplomatico anglosferico che avvolge in sé e a sé l’italica terra con una forza prima inusitata. Ma su tali movimenti è più utile tacere. La prima conseguenza la si vedrà in Vaticano, nelle sale diplomatiche di Santa Romana Chiesa, diletta sofferenza per noi cattolici sempre minorenni, ma che non possono dimenticare la Chiesa del Silenzio cinese, sacrificata al disegno gesuitico di comando dall’alto; un’altra volta come tante altre nella storia. Ma la Chiesa di Roma rimane sempiterna e tutto troverà, grazie allo Spirito Santo, una risoluzione.
Io sono convinto che così avverrà anche per l’Italia, con ben diverso spirito, però.
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