Ieri il Governatore della Banca d’Italia Visco ha presentato il suo ultimo libro “Inflazione e politica monetaria”. È un titolo che tocca il tema del giorno: l’inflazione e gli strumenti per contrastarne gli effetti. Il Governatore ha spiegato che “chi è sotto il livello di povertà va aiutato, ma occorre evitare la spirale salari-prezzi che farebbe perdurare l’inflazione con effetti negativi”.
Visco ha specificato che “i tentativi di innalzare i margini di profitto o le richieste salariali che risultassero completamente slegate dai guadagni di produttività mirando al pieno recupero dell’inflazione o che addirittura incorporino aspettative di una crescita futura dei prezzi eccessivamente elevata finirebbero solo per prolungare la fase di alta inflazione, amplificandone gli effetti negativi”. Quindi, sui salari occorre “responsabilità dalle parti sociali”.
Se sui salari occorre “responsabilità” emerge uno scenario in cui ampie fette dei lavoratori dovrebbero semplicemente accettare una riduzione del potere d’acquisto. C’è spazio, sembra, solo per chi è “sotto il livello di povertà”. In questo ultimo caso possiamo immaginare che gli incrementi dei prezzi degli alimentari ampiamente sopra il 10% non determinino rinunce dei beni più discrezionali, ma, semplicemente, la fame. Oltre questo non rimane molto.
Emerge chiaramente un problema politico e sociale contingente e uno più grande prospettico. Il problema contingente è quello di far accettare una diminuzione del potere d’acquisto perché l’inflazione degli ultimi diciotto mesi in moltissimi casi non è stata controbilanciata da aumenti salariali. Il problema prospettico è che nessuno sembra sapere esattamente quanto a lungo possa durare. Se non c’è una soluzione i lavoratori saranno chiamati ad altri “atti di responsabilità” e, in questo caso, i problemi politici e sociali si moltiplicano.
C’è un secondo elemento. Per il grande pubblico l’inflazione è ancora un mistero irrisolto che è uscita dal nulla e non si comprende come si sia prodotta. Questo è un clima che aiuta a gestire i problemi politici contingenti. Se, per esempio, fosse chiaro che le cause sono strutturali e irrisolvibili all’interno dell’attuale schema politico sarebbe più complicato far accettare atti di responsabilità.
Poco più di un anno fa il Governatore della Banca d’Italia aveva aperto pubblicamente uno squarcio sui problemi. Visco spiegava, nell’intervento alla conferenza “The Ecb and Its Watchers XXII”, che lo shock energetico ha “conseguenze rilevanti per la domanda aggregata dei Paesi importatori”; le ripercussioni sono “specialmente severe per le famiglie”. Uno degli indizi sulla crisi che ha colpito i redditi è risolto: la crisi energetica. Rimaniamo su questo punto: la crisi energetica italiana è ancora irrisolta perché i prezzi dell’elettricità a un anno rimangono ancora più di due volte di quelli antecedenti il 2021; siamo, oltretutto, alla fine di una stagione termica particolarmente favorevole dal punto di vista delle temperature e le importazioni di gas russo continuano ad arrivare in Europa.
Produrre con le rinnovabili risolve la crisi energetica? La risposta è chiara a chiunque la voglia trovare e per trovarla basta guardare appena fuori dalle Alpi, in Germania, in un Paese che ha investito in questo settore più di tutti e che sei mesi fa aveva già pronta la lista delle imprese da chiudere. Prendiamo invece, all’opposto, il caso della Turchia che ha dato un’accelerazione impressionante alla capacità di stoccaggio, all’estrazione di idrocarburi, al nucleare e anche, in un mix sensato, al solare e all’eolico e si candida a mantenere e sviluppare la propria manifattura.
Produrre in Occidente è ovviamente più costoso che farlo nel Sudest asiatico. Questa è una spinta inflattiva che sul breve periodo non ha una soluzione, ma che nel medio periodo potrebbe averla se si riuscisse a intercettare gli investimenti che ampliano la base industriale nei Paesi “sviluppati”. In questo scenario la necessità di ricorrere alla spesa pubblica e alle politiche monetarie espansive, che sono inflattive, sarebbe meno impellente.
La responsabilità che si chiede ai lavoratori può essere solo una soluzione tampone all’interno di un quadro in cui l’inflazione non è strutturale. Se invece l’inflazione è strutturale questa “soluzione” può solo alimentare un circolo vizioso fatto di inevitabili richieste di maggiore redistribuzione dei salari e maggiore spesa pubblica che ci consegna a un orizzonte “argentino”.
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