La Cina si avvicina, ma, per fortuna, è ancora parecchio distante. Ogni anno, in occasione del Salone di Shangai o di Pechino, i media fanno sempre lo stesso titolo pronosticando una prossima invasione di auto cinesi sulle nostre strade. In più, oggi, ci si è accorti, con un grande ritardo rispetto a quanto Il Sussidiario scrive da anni, che la Cina dispone di un quasi monopolio sulla produzione di batterie per i veicoli elettrici e, soprattutto, sulle materie prime necessarie per costruirle. Certo i legislatori dell’Unione europea hanno fatto tutto quanto in loro potere per mettere i bastoni tra le ruote a un settore che dava lavoro a milioni di cittadini del Vecchio continente, ma non è ancora detta l’ultima parola.
Partendo dal presupposto che non sarà comunque facile contrastare, per carità, a livello industriale, aziende che rispondono direttamente a uno Stato, possono, se necessario, usufruire di investimenti senza limiti, e dispongono di un mercato interno, per lo più chiuso agli stranieri, dimensioni gigantesche, dobbiamo fare dei distinguo importanti parlando di qualità e di valore.
Per i cinesi non c’è nessuna differenza tra costruire una lavatrice e un’automobile. Sono entrambi prodotti di massa da realizzare spendendo il minimo di energie mentali ed economiche. Non c’è cura, non c’è impegno intellettuale, arriviamo anche a dire che non c’è amore. Possono usare i design occidentali, copiare linee e rubare idee, ma i diversi risultati si vedono sempre.
Magari, in alcuni casi rari, all’esterno sono anche piacevoli, ma provate a salirci sopra e le coreane di vent’anni fa vi sembreranno delle Rolls Royce. Sedili, plastiche, cruscotti sono improponibili per la maggior parte della clientela europea. La sicurezza è, poi, tutta da valutare: Molte delle auto cinesi vendute in Europa, una decina attualmente, non hanno, ancora, una valutazione EuroNcap. Tre hanno cinque stelle come quasi tutte le auto europee, ma una delle auto importate dalla Cina pur essendo un grosso suv all’apparenza sicurissimo, ne ha conquistate, si fa per dire, solo tre, come se fosse una minicar.
I marchi automotive cinesi ci possono provare, come ci stanno provando da almeno una quindicina d’anni, ma nonostante i vantaggi competitivi che gli ha gentilmente donato l’Unione europea non è detto che ci riescano, anche perché il mercato non è un unicum. Contando su un prezzo molto competitivo possono sfondare nelle fasce basse, quelle che i produttori europei stanno, pian piano, abbandonando perché non producono margini di guadagno. Ma, visto la battaglia che le grandi città europee stanno conducendo contro tutte le automobili, ci sarà ancora bisogno di city car?
Certo saranno elettriche, ma saranno dure da vendere perché il loro vero concorrente saranno i trasporti pubblici locali. E quanto dovranno scendere di qualità o salire di prezzo le auto premium europee prima di essere fieri di comprare una Hongqi E-HS9, la vettura importata in Europa del marchio cinese che fa concorrenza a Bmw, Audi e Mercedes.
Se volete una prova di quello che ho scritto finora cercate le foto di questo modello su internet e giudicate. Costa, in Cina, dai 550 a 750 mila Yuan, qualcosa tra gli 80 e i 110 mila dollari, ma in Norvegia viene venduto a partire da 65 mila euro perché il costruttore spinge sul prezzo per attrarre l’attenzione dei potenziali clienti. E forse non è una buona idea. Si ispira alla Rolls e viene classificato come Suv. Per carità è elettrico, ma è un guazzabuglio di “vorrei ma non sono capace” senza un minimo di gusto. Se il livello rimane questo, i produttori europei, almeno su questo fronte, possono dormire sonni tranquilli.
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