Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia durante il primo governo Conte, ha recentemente parlato sulle pagine della Verità dell’attualità economica italiana ed europea, tra patto di stabilità, debito e PNRR. Sulla riforma del patto di stabilità, spiega che “recepisce i contenuti essenziali della prima versione ad eccezione dell’idea di suddividere” in tre fasce, ma “si basa comunque su un’analisi della sostenibilità del debito“.
A Giovanni Tria il nuovo patto di stabilità non piace, perché “la discrezionalità è nelle mani della Commissione” che, di fatto, proporrà, dopo l’analisi tecnica del debito, “un sentiero cui il singolo paese deve attenersi”. Secondo lui, inoltre, basando gli obbiettivi sull’analisi di sostenibilità, si “finirà per avere un impatto sui mercati finanziari e sulla reputazione del singolo Paese”. Per Giovanni Tria, basandosi su modelli statistici, il patto di stabilità “rimane comunque una graduatoria di rischiosità del debito. E questo per l’Italia è sempre stata una linea rossa. C’è un rischio evidente”. Mancando, poi, “una politica fiscale comune a livello europeo”, il patto ricalcherebbe in qualche modo in PNRR, definendo “un orizzonte di quattro o sette anni, e dal piano presentato non puoi più muoverti”.
Giovanni Tria: “Il PNRR non è un piano, ma una sfilza di progetti”
Passando, brevemente, alla situazione economica italiana, Giovanni Tria spiega che attualmente è “meglio di quanto ci si potesse aspettare”, seppur l’inflazione rimanga un problema in primo piano. “Servono politiche redistributive” per combatterla, “facendo pagare chi ha di più e ridare a chi ha di meno. Oppure tagliare nel bilancio ciò che può essere rimosso. Ma ha un costo politico enorme”.
Saltando poi ad un’altro argomento centrale del suo discorso, il PNRR, Giovanni Tria non riesce a definire se sia meglio ridiscuterlo o lasciarlo com’è, ma pensa che sia “meglio spendere tutto e bene, piuttosto che poco e male”. Un bene, però, che non è facile da definire, perché secondo l’economista “più che un piano, è una sfilza di progetti. E comunque le risorse per questi progetti spesso già c’erano”. Secondo Giovanni Tria, infatti, “l’Italia è spesso incapace di spendere non solo i fondi europei ma pure le risorse stanziate nel bilancio”, e il problema è che “un fallimento non sarebbe semplicemente nazionale, ma pure europeo“.