Fu travolto da critiche e attacchi Matteo Salvini nel 2020 quando, durante la campagna elettorale per le Regionali in Emilia-Romagna, citofonò ad una famiglia italo-tunisina chiedendo se c’era uno spacciatore. Quasi tre anni dopo tutta quella famiglia è stata condannata per droga. Si è concluso il processo con rito abbreviato all’organizzazione che gestiva lo spaccio in zona Pilastro, a Bologna, con ventuno condanne per un totale di quasi 83 anni di carcere complessivi. Tra i condannati ci sono, appunto, i membri della famiglia a cui citofonò il leader della Lega.
All’epoca l’inchiesta della Dda era già in corso, quindi il blitz dell’attuale vicepremier e ministro causò non pochi problemi per il clamore mediatico, infatti l’organizzazione criminale spostò temporaneamente i nascondigli, come evidenziato dal giudice nell’ordinanza con cui ha applicato le misure. All’epoca, inoltre, la famiglia italo-tunisina querelò per diffamazione Matteo Salvini e la residente che aveva indicato al leader del Carroccio la loro casa come covo di spaccio, ma le loro posizioni sono state archiviate.
BOLOGNA, CONDANNE PER TUTTA LA FAMIGLIA ITALO-TUNISINA
Invece, i coniugi Caterina Razza e Labidi Faouizi Ben Ali sono stati condannati rispettivamente a un anno e due anni, sei mesi e venti giorni. Un figlio a 4 anni, sei mesi e venti giorni, un’altra figlia a tre mesi e dieci giorni. La posizione del figlio minore, all’epoca 17enne, che fu additato come il pusher a favore di telecamere, è stata rinviata al Tribunale per i minorenni. Le pene più pesanti decise dal gup Sandro Pecorella, precisa il Corriere della Sera, sono state comminate alle persone a cui è stata riconosciuta l’accusa di associazione finalizzata al traffico di droga, tra cui il cognato, considerato il capoclan, la madre e le sorelle di Nicola Rinaldi, il 28enne che nell’agosto 2019 fu accoltellato da un vicino di casa, Luciano Listrani, proprio per un debito di droga. Proprio da quell’omicidio partirono le indagini e le intercettazioni che hanno aiutato gli inquirenti a svelare il ruolo di primo piano che la famiglia rivestiva nello spaccio in quartiere. L’attuale vice premier, che non ha commentato la notizia della condanna di quella stessa famiglia, all’epoca dichiarò: «Rifarei tutto, anche il citofono, il radio-telefono, il grammofono». Stando alle sentenze, tutti i torti non li aveva.